Quello che ti colpisce immediatamente è l’odore: una cappa di fumo, cenere e plastica liquefatta che graffia la gola e ti impedisce di vedere a qualche decina di metri di distanza. La mattina successiva al grande incendio che ha messo in ginocchio i margini settentrionali del parco d’Aspromonte e messo a repentaglio la sicurezza stessa di due comuni della valle del Torbido, evacuati per precauzione, il panorama è cambiato profondamente. Delle querce alte come palazzi di tre piani e degli ulivi secolari con tronchi grandi come macine da mulino, resta giusto qualche moncherino fumante, a dominare un paesaggio ormai lunare che, imprevisti esclusi, impiegherà decenni a tornare in sesto. Impossibile ancora una prima conta dei danni, con i focolai che non lasciano tregua e i canadair che dalle prime luci dell’alba di giovedì hanno ripreso a fare la spola tra il mare e i primi anfratti della montagna.
Evacuati
Martone, San Giovanni di Gerace, Grotteria: sono tre i micro paesi della Locride a pagare il tributo più alto al super lavoro dei piromani. «Una situazione mai vista prima – racconta Vincenzo Loiero, primo cittadino di Grotteria, poche centinaia di anime arroccate a poche spanne dal mare – a lungo abbiamo temuto che le fiamme raggiungessero le case. Siamo certamente di fronte all’opera dell’uomo. Troppi i focolai e troppo distanti l’uno dagli altri per pensare ad altre situazioni, questi sono certamente incendi di origine dolosa».
La situazione è andata peggiorando con il passare delle ore ed è diventata così grave da convincere lo stesso sindaco a firmare, nel tardo pomeriggio di ieri, un’ordinanza di evacuazione del borgo che, nella sostanza però, quasi nessuno ha rispettato. Nessuno, o quasi, ha voluto lasciare le proprie case che rischiavano di finire divorate dal fronte dell’incendio che dalle montagne aveva raggiunto la prima periferia del paese.
Da protettrice a protetta
Alla fine saranno solo una decina le famiglie costrette ad abbandonare le proprie abitazioni in via precauzionale. Gli altri sono rimasti in paese, nel tentativo di dare una mano alle quattro squadre dei vigili del fuoco che per l’intera giornata hanno lottato per fronteggiare il muro di fiamme che marciava dai monti della Limina e che nel pomeriggio si era preso la vita di Mario Zavaglia, pensionato di 77 anni sorpreso dal fuoco mentre tentava di salvare i suoi animali in una casetta colonica.
Con sifoni da giardino, con i secchi di plastica, con le pale: tutti si sono dati da fare per cercare di rimediare ad una devastazione che sembrava ormai inarrestabile. Quando le fiamme hanno raggiunto la rupe su cui si affacciano il municipio e la chiesa di San Domenico, sono stati i fedeli ad agire in prima persona per spostare la statua della Madonna di Pompei – patrona del paese – dalla sua nicchia e metterla in salvo. Sistemata inizialmente sul sagrato della chiesa, la statua è stata trasportata all’interno di un’abitazione privata che non era direttamente minacciata dall’incendio.
Niente più acqua potabile
Solo verso la mezzanotte l’allarme è rientrato, con le fiamme che sono state respinte a pochi metri dal centro abitato che alla fine della giornata conterà una solo casa distrutta dalle fiamme. Peggio è andata invece nelle frazioni più interne dove il calore provocato dall’incendio ha letteralmente sciolto le tubature in plastica dentro cui scorre l’acqua potabile, lasciando decine di famiglie a secco. Il servizio idrico è garantito grazie al continuo via vai delle autocisterne.
Sedici famiglie allontanate
Grave la situazione anche nel limitrofo comune di San Giovanni di Gerace: anche qui le fiamme hanno lambito le prime case del borgo e il sindaco è stato costretto ad allontanare 16 famiglie dalle proprie case che rischiavano di essere distrutte dall’incendio. La situazione è migliorata nel corso della notte, ma anche qui il verde aggressivo delle colline è stato sostituito con una brulla grigia che puzza di morte.
Il cuore della montagna in fumo
E se a Grotteria si tira un sospiro di sollievo dopo ore di angoscia, le preoccupazioni si spostano su Martone, appena una manciata di chilometri più a nord, dove il satellite segnala il fronte di fuoco più ampio attualmente attivo nel reggino. Ancora lontani dal centro abitato, gli incendi qui hanno colpito duro con decine di ettari di boschi andati distrutti: anche la pineta della Rina, consueto rifugio cittadino nelle giornate di canicola estiva, è stata spazzata via.
E addentrandosi nel cuore della montagna le cose vanno ancora peggio. Nella serata di mercoledì solo l’intervento di alcuni volontari ha consentito di portare in salvo una mandria di mucche che rischiava di finire bruciata. Un lavoro pericoloso – la stalla è stata distrutta dalle fiamme pochi minuti dopo l’evacuazione – ma preziosissimo e che ha consentito di portare in salvo anche un grosso allevamento di api: piccoli segnali di ottimismo, sull’orlo di una situazione drammatica.
«Abbiamo provato a interrompere il fronte del fuoco servendoci anche della strada – racconta Renzo Calvi, giovane assessore all’Ambiente del comune – ma avevamo solo un idrante e la forza della nostra disperazione. All’inizio sembrava ce la potessimo fare, ma quando si è alzato il vento le cose sono precipitate e le fiamme hanno finito per tagliarci il passo. È andato tutto in fumo».