Si chiama Aliva perché produce oggetti di artigianato di design fatti in ferro e, appunto, legno degli scarti di potatura degli ulivi. Un nome semplice, per un progetto che semplice non è. Perché va ben oltre gli aspetti economici, cui pure ogni azienda – anche la più piccola – deve badare. Aliva si è data una missione: raccontare la storia dei territori proteggendone al contempo la natura. Come farlo? Realizzando prodotti con il legno di alberi secolari senza che uno solo di essi venga abbattuto. Di più, piantandone uno per ogni oggetto realizzato. E, con parte del ricavato, formando gratuitamente i contadini sulle migliori tecniche per proteggere le loro piante.
Fare impresa e difendere l’ambiente è l’idea di quattro giovani calabresi; Antonio Centorrino, Vincenzo Fratea, Gabriel Gabriele e Marco Macrì. «In Aliva – ci racconta Antonio – sono quello che “fa il pr”, curo i rapporti con le aziende e ho disegnato la linea dei prodotti. Chi li ricrea è Vincenzo, artigiano e falegname a Dinami da 25 anni, ne ha 36. Gabriel è uno sviluppatore di Gimigliano e si occupa di tutta la “struttura” web e della sua evoluzione; Marco, di Catanzaro Lido, è il nostro esperto di comunicazione digitale, curerà la promozione e dei social.».
Secoli in cenere
Aliva l’hanno creata durante la pandemia, giorni di call, bozzetti, prove scartate. Ma il seme da cui è germogliato il progetto risale al giorno in cui uno di loro stava osservando il suocero accatastare i rami appena potati nel suo piccolo uliveto. Pezzi di alberi che erano là da secoli e di lì a poco sarebbero diventati cenere in qualche caminetto o stufa.
Perché non farli ancora vivere in un’altra forma, magari una che raccontasse qualcosa del territorio in cui l’albero era cresciuto? La risposta è stata Aliva. Ossia prendere quella legna – ritenuta troppo fresca per usi diversi dal finire nel fuoco – e utilizzarla invece per creare complementi d’arredo. Oggetti, cioè, dalle dimensioni abbastanza contenute da non soffrire l’eccessiva “giovinezza” di una materia prima che, in pratica, non costa nulla.
Storia e modernità
«Siamo partiti con l’idea di utilizzare legna di cui ci sono milioni di tonnellate all’anno gratuite. Già ora abbiamo almeno 50 aziende agricole che ce la darebbero gratis, in quale altro ambito puoi avere tutta quella materia prima senza pagarla? Anche volendo comprarla, spenderemmo meno di dieci euro a quintale e con una quantità del genere facciamo centinaia di prodotti. Abbiamo studiato come potere utilizzare il legno più fresco in maniera funzionale».
E così dai rami di un albero potato a Borgia è nato, ad esempio, Dinami, il primo oggetto prodotto da Aliva. Incarna a pieno lo spirito del progetto: è uno speaker passivo in legno secolare da utilizzare con gli smartphone. Storia, modernità e nessun albero tagliato.

Aliva: dalla potatura all’artigianato di design
Ne saranno realizzati soltanto mille esemplari al massimo, tutti su ordinazione, e di ognuno sarà tracciabile l’intera filiera. «Non siamo noi ad occuparci dell’albero che useremo, ma un potatore certificato da un ente nazionale. Ce ne sono quattro, noi ci affidiamo alla prestigiosa “Scuola Potatura Olivo” del dottor Pannelli. In Calabria sono solo cinque i potatori certificati da Pannelli, più altri 14 con attestati di altri enti. Non ci siamo autocertificati perché pensiamo che la collaborazione con un ente esterno autorevole aiuti anche a dar valore a quello che facciamo. Non vogliamo che qualcuno compri qualcosa che facciamo semplicemente per l’estetica. Il valore e il senso dei nostri prodotti è un altro».
Si parte sempre solo e soltanto da scarti di potatura. Poi si trasformano in oggetti dal design minimalista legati a un personaggio, un luogo, un mito da ricordare o scoprire. La Torre dell’orologio nel caso di Dinami, piccolo centro di meno di mille anime nel Vibonese e sede dell’azienda, che ha ispirato l’omonimo speaker. Oppure Kaulon, il portachiavi a forma di tassello di mosaico; l’orologio Milone, simile ai cerchi delle Olimpiadi in cui trionfava il campione crotonese, e quello Demetra, richiamo a un’antica statuetta esposta al museo di Cirò Marina. E poi ci sono i vasi ornamentali Castore e Polluce, omaggio alle colonne dell’omonimo tempio perduto rimaste all’interno di Villa Cefaly a Curinga. Infine, la lampada da tavolo Amendolara, ispirata alle forme della Torre spaccata del paese ionico.
Tre regioni per cominciare
Una Calabria straordinaria eppure a basso costo, insomma, diametralmente opposta a quella tanto cara – in tutti i sensi – alla Regione di questi tempi. «Non sono le classiche icone tipo la Cattolica di Stilo o il monastero di Tropea. Pensiamo abbiano pari valore, ma siano meno stereotipate. Ne doneremo una copia alle comunità anche come stimolo: sarebbe bello se grazie ai vasi Castore e Polluce, ad esempio, qualcuno riprendesse le ricerche del tempio».
Gli oggetti appena elencati compongono la collezione Kalavrìa e un esemplare di ognuno andrà in omaggio ai Comuni che li hanno “ispirati”. In arrivo anche la Trinacria e l’Apulia, così da dedicarne una a ciascuna delle tre regioni che insieme hanno l’86% degli uliveti italiani. «Il valore storico degli ulivi nelle altre regioni è inferiore, hanno poco da raccontare. Non c’è legame storico, ideologico, identitario. Per i pugliesi l’ulivo è un simbolo iconico, è nella loro bandiera».
Un albero piantato per ogni oggetto venduto
Ma è proprio in Puglia che si è consumata una vera e propria ecatombe di ulivi secolari, oltre venti milioni le vittime della Xylella. Aliva prova a dare il suo contributo anche qui. Grazie alla collaborazione con l’associazione pugliese OlivaMi, per ogni oggetto venduto dall’azienda calabrese si pianterà in Salento un nuovo ulivo. E sulla collaborazione, in generale, Antonio, Vincenzo, Gabriel e Marco puntano tantissimo, proprio alla luce di quanto accaduto in Puglia. Lì la Xylella ha fatto scempio degli alberi proprio perché i contadini non parlavano tra loro, spesso per vecchi asti tra confinanti, ed ognuno ha agito per sé con risultati nulli. È mancato il collante, ruolo di cui vorrebbe farsi carico, invece, Aliva in Calabria.
L’unione fa la forza
«Premessa: il nostro primo obiettivo è il profitto. Siamo micro ma pur sempre un’azienda e come tale senza profitto non possiamo sostenerci. Ma ci siamo detti “perché non legare tutto a un progetto ambientale-sociale?”, si potrebbe ottenere un risultato migliore. Se l’obiettivo fosse distribuire corsi di formazione guadagneremmo di più. Ma il nostro non è greenwashing,: non siamo un’azienda che ha sputtanato l’ambiente per 50 anni e poi trova un testimonial green per ripulirsi. Noi non dobbiamo pulirci nulla». Tant’è che i corsi di formazione, li offriranno loro gratis ai proprietari di uliveti con parte del ricavato delle vendite.

A insediare gli alberi, infatti, non c’è solo la xylella, ma incendi, malattie, altri parassiti e incuria. E insegnare a occuparsi di prevenzione o affidare la potatura a personale qualificato è il modo migliore per preservare le piante. «Io vivo a Bovalino superiore, ma sono originario di Gioia Tauro. Zone piene di uliveti, ma non ho mai avuto la percezione che tra tutti quelli che hanno alberi ci fossero connessioni. Che ci costa provare a essere noi quel collante? Ai Comuni a cui doneremo i primi esemplari che produrremo chiediamo di collaborare alla creazione di un osservatorio sullo stato di salute degli ulivi nel territorio. Il progetto è ambizioso, si tratta di monitorare quasi in tempo reale lo stato di salute degli ulivi in Calabria, Sicilia e Puglia. Il nome del laboratorio lo abbiamo già: SalvOliva».
La sfida comincia ora
Nel frattempo, dopo le prime uscite ufficiali alla Fiera dell’Artigianato di Milano e a RaccontArti a Catanzaro, tocca affrontare un’altra sfida, quella del mercato. Con una confezione che più green non si può per ogni prodotto, ovviamente: cartone riciclato ed un letto di foglie di ulivo al suo interno.