Gli effetti del coronavirus sulla scuola sono devastanti, soprattutto in regioni come la Calabria. Docenti, studenti e famiglie negli ultimi mesi hanno perso, infatti, ogni certezza tra chiusure, sospensioni, casi sospetti e contact tracing. Il mondo della didattica si è adeguato con tante difficoltà e l’art. 34 della Costituzione ha vissuto un autentico stravolgimento.
Dad, mezza Calabria tagliata fuori
In questo senso l’ultimo rapporto sul Bes (Benessere equo e solidale), pubblicato annualmente dall’Istat, fotografa da vicino la fase molto particolare della didattica a distanza, esplosa durante il lockdown anti-Covid, per cui è necessario avere a disposizione una buona connessione e un dispositivo elettronico per interagire con la scuola e gli insegnanti, ormai dunque un requisito indispensabile per l’accesso all’istruzione. In Calabria un laptop o un tablet e Internet, nel 2020, lo possedevano circa metà delle famiglie.
Il rapporto Istat illustra un quadro dei principali fenomeni economici, sociali e ambientali che caratterizzano il nostro Paese e la Calabria, attraverso l’analisi di un ampio set di indicatori suddivisi in 12 domini. Dalla sicurezza all’ambiente fino alla fruizione di attività culturali e la qualità dei servizi essenziali. Un’analisi scientifica di enorme valore che aiuta a conoscere le disuguaglianze e i bisogni dei territori.
Il periodo storico ha reso infatti evidente, a 2 anni dall’inizio della pandemia, l’inadeguatezza del Pil come unica misura del benessere di una popolazione e principale parametro da prendere in considerazione per le scelte politiche ed economiche da assumere.
Scuola e futuro… in salita
Andiamo più specificatamente sulla Calabria: i dati sui bambini iscritti al nido in Calabria evidenziano forti disparità con le altre regioni italiane in rapporto anche alla disponibilità di strutture, su 100 bambini (0-2 anni) solo 17 sono iscritti ad un nido in regione a differenza, ad esempio, della Lombardia dove su 100 ben 26 partecipano alle prime attività didattiche. Anche la spesa (pro capite) nei grandi Comuni del Sud per i servizi di prima infanzia risulta bassa, come segnalato recentemente da un’indagine della fondazione Openpolis.
Per la serie “chi ben comincia è a metà dell’opera” l’inserimento dei bambini da 0 a 2 anni nei servizi dedicati alla prima infanzia è la base di ogni apprendimento successivo, con effetti positivi sulle abilità comportamentali e sull’alleggerimento del carico di lavoro familiare, gestito soprattutto dalle donne. Sulla partecipazione al sistema scolastico dei bambini più grandi, 4-5 anni, invece va meglio dalle nostre parti: il 97,1% dei calabresi di questa età frequenta una scuola d’infanzia o primaria. La media nazionale si attesta al 94,8%.
Mens sana in corpore sano
La didattica e l’apprendimento sono insomma un fattore chiave per il benessere? E le aree più povere come partecipano? Il tasso di occupazione dei laureati è più alto rispetto a quello di coloro che hanno un titolo di studio più basso, l’istruzione è anche associata a longevità e migliore stato di salute. In Italia, come in tutti i paesi europei, chi è più povero di competenze e di risorse si ammala più spesso e ha una speranza di vita più bassa, anche grazie a una maggiore attenzione tra i più istruiti a comportamenti salutari.
Sul tema della istruzione l’Unione europea fissa per l’anno 2020 degli obiettivi specifici e ha inteso garantire, attraverso vari strumenti multilivello, il 95% di partecipazione dei bambini alle scuole materne, meno del 15% dei quindicenni con risultati insufficienti in lettura, matematica e scienze, meno del 10% dei giovani dai 18 ai 24 anni ad abbandonare gli studi o la formazione.
Internet e diseguaglianze
«L’impatto della didattica a distanza e della chiusura delle scuole ha inciso su una popolazione di studenti percorsa già da profonde disuguaglianze», denuncia Istat nel suo rapporto. La Dad si è inoltre scontrata con le difficoltà nelle competenze digitali della popolazione regionale: nel 2019, tra gli individui di 16-74 anni, soltanto il 16,7% dei calabresi ha dichiarato di avere competenze digitali elevate (contro il 22% in Italia e il 31% nella Ue27), cioè di essere in grado di svolgere diverse attività nei 4 domini dell’informazione, della comunicazione, nel problem solving e nella creazione di contenuti.
La maggioranza degli individui a livello nazionale è in possesso di competenze basse (32%) o di base (19%) e l’età rimane un fattore importante: i giovani di 20-24 anni hanno livelli avanzati di competenze nel 41,5% e i ragazzi di 16-19 anni nel 36,2% mentre la quota diminuisce all’aumentare dell’età e arriva al 20,3% tra le persone di 45-54 anni e al 4,4% tra le più anziane di 65-74 anni.
La regione che legge meno
Fari puntati in Calabria anche sulla quota di studenti della scuola secondaria di secondo grado che non raggiungono un livello sufficiente di linguaggio e competenze numeriche. L’Istat nel 2018/2019 ha riscontrato 47 studenti calabresi delle superiori su 100 che hanno una competenza alfabetica non adeguata e 58 su 100 non hanno una predisposizione adeguata a pensare in numeri. In Piemonte gli alunni carenti sarebbero, rispettivamente, 24 e 28 su 100. A ciò si affianca la quota sul totale di persone di 6 anni e più che hanno letto almeno quattro libri l’anno per motivi non strettamente scolastici e professionali o hanno letto quotidiani (cartacei e web) almeno tre volte a settimana: in Calabria sono 21 su 100, il dato più basso a livello nazionale.
Giovani a spasso
Un fattore di notevole criticità emerge poi dai dati sull’abbandono scolastico che colpisce in maniera più accentuata i figli dei cittadini stranieri e che appare il tema più preoccupante. La Calabria, stando ai dati raccolti da Openpolis e aggiornati all’1 settembre di quest’anno, con il suo tasso d’abbandono al 16,6% è la terza regione messa peggio del Paese, superata solo da Sicilia (19,4%) e Campania (17,3%).
Il tema, peraltro, si collega anche ai numeri sui Neet, le persone di 15-29 anni né occupate né inserite in un percorso di istruzione o formazione: in Calabria sono 39 su 100. Nel secondo trimestre 2020, il 13,5% (16,9% nel mezzogiorno) dei giovani tra i 18 e i 24 anni in Italia risulta, in media, con un titolo conseguito fermo alla licenza media: un dato importante che dipende dal background familiare e, dunque, dalle condizioni socioeconomiche di partenza.