Per una terra come la Calabria che la leggenda vuole abbia preso uno dei suoi stessi antichi nomi dal vino, la notizia di un concorso internazionale ospitato nei suoi confini è solo il riconoscimento di una tradizione millenaria.
Più di cento vini calabresi in concorso
In occasione del Concours Mondial de Bruxelles – la kermesse patrocinata dalla Regione e ospitata a Rende dal 19 al 22 maggio: coinvolti oltre 320 giudici, 8mila i vini da 50 nazioni – la Calabria potrà “raccontarsi”, come da formula di marketing territoriale alquanto abusata: se negli anni scorsi i vini calabresi facevano registrare presenze molto basse, in questo 2022 ne vedremo iscritti al Concours oltre cento. Tutte le degustazioni saranno alla cieca: in campo circa 70 commissioni composte ciascuna da 5-6 degustatori, con valutazioni fatte sui tablet per evitare qualsiasi margine d’errore. I giudici non assaggeranno più di 40/45 vini per mattinata.
Vini, attenti all’autocelebrazione come per gli amari calabresi
Saranno giorni di degustazioni, divulgazione ed eventi collaterali. L’occasione, però, è anche propizia per fotografare – senza l’illusione dell’esaustività – il movimento vitivinicolo calabrese, che per la sua crescita esponenziale degli ultimi vent’anni è difficilmente etichettabile o riducibile in griglie precostituite.
Di certo si è arrivati a un apprezzamento sempre maggiore – per qualità e quantità di aziende e bottiglie ma anche per la presenza di personalità eccelse tra produttori e divulgatori locali, come vedremo, oltre che di enologi che hanno tracciato la strada come Donato Lanati per Librandi – in modo meno “drogato” di quanto sia accaduto nell’ultimo lustro nel mondo degli amari, tra continui exploit e premi non sempre “prestigiosi” come da formula. Il rischio è l’autoreferenzialità provinciale e anzi ombelicale riassumibile in un celebre post de Lo Statale Jonico («È calabrese la città calabrese più bella della Calabria»); ma questo è un altro discorso. Luoghi comuni a parte, ecco dunque un alfabeto minimo e semiserio (e soprattutto in continuo aggiornamento) su vini e produttori calabresi.
Archeologici
Acroneo è un brand acrese legato alla famiglia Bafaro: «La produzione dell’archeo-vino Acroneo è frutto di uno studio accurato delle fonti letterarie, iconografiche e archeologiche. Ogni aspetto è curato nei minimi dettagli, per ricostruire il processo di vinificazione antico, si tratta di archeologia sperimentale». Arkon, un Magliocco in purezza da 15,5° affinato in anfora interrata, territorio San Demetrio Corone, sarebbe l’ideale con il garum, la salatissima salsa al pesce degli antichi romani antesignana in un certo senso della sardella. Ammesso che sappiate riprodurla.
Artigianali
Chi sono i Vac? Vignaioli artigiani di Cosenza, sigla che vale anche per Vignaioli dell’Alt(r)a Calabria, guidati da Eugenio Muzzillo (Terre del Gufo). I magnifici dieci (gli altri sono L’Antico Fienile Belmonte, Rocca Brettia, Elisium, Tenute Ferrari, Manna, Ciavola Nera, Cerzaserra, Azienda Agricola Maradei, Cervinago) propugnano una filosofia davvero bio e puntano sul vitigno autoctono a bacca nera che trova a 500 metri slm il suo habitat ideale.
Bruzio, orgoglio
Proprio il Magliocco rivive oggi nella Dop Terre di Cosenza, denominazione che in un decennio è passata da 10 a 60 aziende consorziate e un milione di bottiglie prodotte. Merito di un lavoro commerciale e comunicativo che trova le sue basi in un fondamentale libro di Giovanni Gagliardi e Gennaro Convertini su Il vino nelle terre di Cosenza (ed. Rubbettino 2013, con le formidabili foto di Stépahne Aït Ouarab). Il Consorzio è oggi presieduto da Demetrio Stancati dell’azienda agricola Serracavallo (Bisignano, CS).
Creativi/1
Restiamo in ambito letterario e nelle Terre di Cosenza con il Maglianico Serragiumenta, etichetta che gioca con l’Aglianico la cui fortuna è stata decantata – è il caso di dire – dal potentino Gaetano Cappelli in un gustoso libro per Marsilio che celebra il vitigno del Vulture. In questa bottiglia di rosso “da meditazione” dell’azienda agricola di Altomonte (CS) troverete il 60% di Magliocco e il 40% di Aglianico: sempre che riusciate a meditare accanto a un arrosto di carne o un tagliere di formaggi a lunga stagionatura, piuttosto che vedere i draghi. Esperienza comunque da consigliare, vista la qualità del vino.
Creativi/2 (pure troppo, forse)
Dgp? Una volta che sarà corretto il simpatico refuso sull’etichetta (Denominazione Geografica Protetta, un ibrido tra Dop e Igp) varrà tantissimo questo stock di bottiglie firmate Colle di Fria, tipo il Gronchi rosa o la moneta da 1000 lire del 1997 con i confini dell’Europa sbagliati (valore su eBay: 3mila euro).
Eretici
Incurante della polizia del pensiero unico, Dino Briglio Nigro con la sua barba marxista spinge il suo Sputnik 2 (azienda L’Acino, San Marco Argentano, CS), una magnum di Magliocco in purezza (14°) dall’etichetta orgogliosamente sovietica. Dell’altrettanto eretica azienda presilana Spiriti ebbri (citata nientepopodimeno che dal compianto Gianni Mura in una delle sue ultime classifiche del meglio dell’anno su Repubblica) consigliamo invece il Cotidie (rosato e bianco).
Governativi
La Tenuta del Castello di Roberto Occhiuto (antica cantina dell’alto Jonio cosentino di cui sono proprietari anche Paolo Posteraro e Valentina Cavaliere) aggiorna in un certo senso, restando nel centrodestra e in zona ionica, l’impegno da 4 generazioni dei Senatore (Cirò Marina) o quello di Dorina Bianchi (Pizzuta del Principe, Strongoli). Una versione calabrese della passione dalemiana con la sua cantina umbra La Madeleine.
Indipendenti
Francesco De Franco (azienda ‘A Vita, vedi anche alla lettera R) ha da poco celebrato, il 14 maggio, il Sabato del Vignaiolo, la giornata pensata in tutta Italia dalla Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti «per raccontare al pubblico e agli appassionati le realtà territoriali dei 1400 soci Fivi»: 18 appuntamenti organizzati da nord a sud da altrettante delegazioni locali, tra banchi d’assaggio, degustazioni guidate e abbinamenti gastronomici.
Magno, anzi maximo
Con un punteggio di 99/100, il Megonio 2019 Librandi a inizio anno è risultato il miglior vino italiano in assoluto secondo la guida Vitae 2022 edita dall’Ais (Associazione italiana sommelier). Il rosso Igp Calabria richiama nell’etichetta il quadrumviro romano attivo nel II secolo d. C. nella città romana di Petelia, oggi Strongoli. Per molti calabresi però, con i rossi Gravello e Duca Sanfelice, è stato per decenni sinonimo di vino rosso di fascia altissima.
New York Times
Un altro rosso, stavolta di Odoardi (vai alla lettera Q), a fine 2021 è stato collocato nel gotha dei 20 migliori vini al mondo al di sotto dei 20 dollari: parola di Eric Asimov, tra le firme più influenti del New York Times e autorità planetaria del settore vino, entusiasta per 149 – L’inizio, una «miscela rossa, incentrata sull’uva Gaglioppo, che è affumicata, tannica e un po’ selvaggia, come la Calabria, ma concentrata e deliziosa».
Pionieri e volti nuovi
Dopo anni di premi e soddisfazioni, il 2022 ha portato al guru Nicodemo Librandi il dottorato di ricerca honoris causa in Scienze agrarie, alimentari e forestali all’Università Mediterranea di Reggio Calabria. E se Roberto Ceraudo, fondatore dell’azienda Dattilo a Strongoli oggi anche ristorante stellato grazie alla figlia Caterina, è diventato intanto ambasciatore dell’Accademia dell’olio di Spoleto, è un volto nuovo eppure già noto quello del “benemerito della vitivinicoltura italiana per il 2022”: si tratta di Giovanni Celeste Benvenuto (vai alla lettera Z), abruzzese figlio di calabrese che ha trovato a Francavilla Angitola (VV) il suo eden: è stato premiato nella cerimonia di apertura dell’ultimo Vinitaly.
Qualità/quantità
Il rischio di articoli come questo è tanto di ridurlo a un elenco di aziende quanto di dimenticarne imperdonabilmente qualcuna: dunque, per qualità, evoluzione e presenza sul mercato (in qualche caso anche nei settori Horeca e Gdo) bisogna citare, con la già menzionata Serracavallo, almeno Ferrocinto, Fratelli Falvo, Terre Nobili di Lidia Matera, Tenuta del Travale di Raffaella Ciardullo, i gemelli rendesi Giraldi&Giraldi, Chimento, Colacino, i decani Eugenio Cundari e Giuseppe Calabrese nel Cosentino; Baroni Capoano e Casa Comerci nel Vibonese; Sergio Arcuri, Ceraudo, Enotria, Ippolito, Iuzzolini, Russo & Longo, Cantine San Francesco, Santa Venere, Tenuta del Conte e Termine Grosso nel Crotonese oltre naturalmente a Librandi e ai rivoluzionari cirotani che trovate alla lettera seguente; Criserà, Lavorata e Tramontana nel Reggino; Dell’Aera e Le Moire nel Catanzarese e il già citato Odoardi nel Lametino, con Statti e Lento.
Rivoluzionari
La “revolution” dei Cirò boys, intanto diventati lord, potrà dirsi conclusa quando arriverà la tanto agognata Docg, o almeno si avvierà l’iter: a oltre 10 anni dal cambio del disciplinare, l’idea della denominazione di origine controllata e garantita non è mai tramontata e anzi è quanto mai attuale. Intanto i più visionari tra i vignerons calabri – capitanati da Cataldo Calabretta e Francesco De Franco (lo abbiamo trovato alla lettera I) – continuano con la loro missione nel distretto più importante della vitivinicoltura calabrese, tra i più longevi e produttivi del Mezzogiorno, un unico paesaggio che ingloba anche Crucoli e Melissa: duemila ettari circa (dati Arssa 2002) ovvero il 20% della superficie vitata dell’intera Calabria. Con il Gaglioppo re assoluto e incontrastato.
Spumanti
Le bollicine erano il grande tabù della vinificazione calabrese: poi arrivarono, quasi 15 anni fa, Almaneti e Rosaneti di Librandi. Due etichette ormai storiche cui aggiungere quantomeno il brut Dovì di Ferrocinto, Chardonnay in purezza da un vigneto a 600 metri slm esposto a nord, forte di 36 mesi di affinamento sui lieviti.
Viola
Un discorso a parte merita la famiglia Viola che da un quarto di secolo a Saracena (CS) con il suo Moscato al governo ha riportato al top nazionale la tradizione cinquecentesca del vino dolce, menzionato dalle fonti storiche sulle tavole pontificie almeno dal XVI secolo. Merito dell’intuizione di Luigi, maestro elementare in pensione, e della passione dei figli.
Zibibbo
Nel 2020 il New York Times ha inserito lo Zibibbo delle Cantine Benvenuto (lettera P) tra i 10 migliori bianchi italiani sotto i 25 dollari, da allora solo soddisfazioni: da provare il bianco Orange non filtrato e il rosato Celeste.
Wilde
«Per sapere se il vino è buono non occorre bere l’intera botte»: Oscar Wilde lo diceva riferendosi all’incostanza delle letture, noi prendiamo la frase in prestito per ribadire che per apprezzare il vino calabrese non serve citare tutte le aziende (qui un elenco accurato). Di certo ci abbiamo provato: e la difficoltà di essere esaustivi già la dice lunga su quanto sia in crescita il settore.
(in aggiornamento…)