Vincenzo Morello, il giornalista senatore

Bagnarese, con lo pseudonimo "Rastignac" è stato tra le penne più incisive d'Italia. Fondatore e direttore di numerose celebri testate, poeta, drammaturgo, critico. Era avvocato, ma alla giurisprudenza preferiva stampa e politica. Il triangolo amoroso con D'Annunzio, l'amicizia col Duce, il rifiuto della camicia nera

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Nella Bagnara del 1860, splendida come poteva essere allora, nasce Vincenzo Morello, unico maschio in una ricca famiglia di commercianti. Rampollo baciato già solo per questo dalla fortuna, non evita tuttavia gli studi. Finisce così dapprima al Collegio Donati di Messina, poi – percorso classico per quei tempi – a Napoli per laurearsi in Giurisprudenza. In verità, però, a Morello – avvocato tanto a Napoli quanto in Calabria – il diritto interessa ben poco, mentre è molto più attratto dal giornalismo.

Rastignac, D’Annunzio e signora

Nel 1881 fonda a Pisa la rivista Il Marchese Colombi e nel 1887 diventa collaboratore fisso del quotidiano La Tribuna. È tra queste colonne che incomincia ad utilizzare lo pseudonimo Rastignac, ispirato all’Eugène de Rastignac ideato dalla penna di Balzac.
Lo definiscono «articolista principe del giornalismo italiano» e il suo nome comincia a svettare: è amico di Gabriele D’Annunzio e con lui condivide un profondo scetticismo nei riguardi della politica giolittiana e del parlamentarismo, inteso come «grande scuola di delinquenza nazionale». A dire il vero, con D’Annunzio condivide anche altro, ovvero l’amore per la stessa donna: quella Maria Hardouin di Gallese, moglie del Vate, la quale si toglierà la vita nel 1890.

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Maria Hardouin di Gallese, moglie di D’Annunzio e amante di Morello

Vincenzo Morello e il giornalismo

Morello si lancia totalmente nel giornalismo e diventa redattore del Piccolo, su invito del direttore Rocco de Zerbi, dove intraprende una polemica contro il repubblicano Giovanni Bovio. È così feroce da procurargli in realtà una collaborazione ancora più prestigiosa, ovvero quella con Il Corriere di Roma, guidato all’epoca dalla vulcanica coppia Matilde SeraoEdoardo Scarfoglio, che di Morello fu in qualche modo il mentore.
Sulle orme della vecchia Tribuna, nel 1890 fonda – assieme a Giulio Aristide Sartorio – la più celebre e popolare Tribuna Illustrata, il primo periodico illustrato italiano.
Infine, nel 1894 (stesso anno in cui pubblica il volume Politica e bancarotta) fonda Il Giornale, assieme a Bobbi e Bellodi, posizionandolo politicamente intorno alle figure di Zanardelli e Crispi.

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Edoardo Scarfoglio e Matilde Serao

Trombato alle elezioni

Allora come oggi, raggiunte le vette del giornalismo niente è più semplice che fare anche politica. Nel 1895 Morello si candida alle elezioni per la XIX legislatura nel collegio di Bagnara, ma lo sconfigge il notabile locale Antonino De Leo. Questi – dicono le biografie – «alla forza delle idee aveva anteposto il potere del denaro. Morello ottenne 950 voti contro i 1420 di De Leo: accusato di essersi venduto all’avversario, uscì dalla vicenda profondamente amareggiato e, dall’indignazione provata nei confronti dei suoi concittadini, ebbe origine il vulnus che scavò una distanza insanabile con la sua città natale».

L’Ora… di tornare al Sud

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Torna dunque al giornalismo, pur continuando a sostenere Crispi e a opporre Giolitti. Stavolta nelle vesti di primo direttore del nuovo quotidiano palermitano L’Ora, che si presenta come giornale di opposizione al regime autoritario del generale Pelloux. A chiamarlo per tale ruolo, nel 1900, è l’industriale Ignazio Florio in persona. Qui Morello fa confluire le più note penne del giornalismo italiano e riesce a far diventare L’Ora un giornale moderno, capace di competere con i più grandi quotidiani nazionali.

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Ignazio Florio junior

Il ritorno in politica di Vincenzo Morello

Ma Morello fu anche poeta, drammaturgo e critico teatrale. Se nel 1881 aveva pubblicato a Napoli le sue Strofe, più avanti dava alle stampe anche i volumi Leggendo (1886), Nell’arte e nella vita (1900), L’albero del male (1914), Il roveto ardente (1926), Dante, Farinata, Cavalcanti: lettura nella Casa di Dante in Roma (1927) e Germinal, in quel 1909 in cui comincia a dirigere le Cronache letterarie di Firenze.

E poi ritenta la via politica: si avvicina così alle prime posizioni fasciste e nel 1923 viene nominato senatore nella XXVI legislatura del Regno, per la 20ª categoria: coloro che con servizi o meriti illustrano la Patria. Nel caso specifico, come «solenne riconoscimento delle singolarissime qualità dello scrittore e, più ancora, dell’opera da lui svolta, durante trent’anni di strenua attività nella stampa quotidiana, per la rivendicazione delle più alte idealità italiane».

Troppo laico per la camicia nera

Molto vicino al Duce, nella cui politica vede realizzate le proprie aspettative, Morello scrive sul mussoliniano Gerarchia. Il 16 dicembre 1925 lo nominano commissario della Società Italiana degli Autori ed Editori, di cui diventa presidente per il biennio 1928-1929. Dal 1926 è direttore del quotidiano milanese Il Secolo.

Benché avesse osteggiato per una vita intera il parlamentarismo e benché fosse stato anche ben poco partecipe in Senato, Vincenzo Morello era ispirato da forti sentimenti patriottici. Intorno alla questione del Concordato tra Stato e Chiesa cattolica pubblica nel 1932 il volume Il Conflitto dopo la Conciliazione, nel quale condanna le concessioni concordatarie alla politica ecclesiale. Coerentemente al proprio spirito anticlericale e ai propri trascorsi massonici, aveva infatti dato le dimissioni dal Partito Nazionale Fascista già nel 1930, proprio all’indomani del Concordato e delle scelte del regime in materia di istruzione, matrimonio e proprietà.

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Benito Mussolini, e il cardinale Pietro Gasparri al momento della firma del Concordato

Essendo egli scettico in merito alla propria eventuale iscrizione all’Unione nazionale Fascista del Senato, i senatori De Vecchi e Vicini, per conto del Direttorio, lo invitavano ancora nel 1932 a partecipare alla successiva seduta di Palazzo Madama con la camicia nera d’ordinanza. Invano.

 

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