Il ricordo è solo la costruzione di una realtà soggettiva, emozioni improvvise che agiscono costruendo, o ri-costruendo, un tempo oggettivamente inesistente, ma concreto nella percezione di impressioni dettate da una dimensione tanto sfuggente quanto radicata nella propria storia e nel proprio vissuto. In virtù di questo, Gaetano Tramontana, regista, autore, attore e direttore artistico di Spazio Teatro – associazione culturale nata a Reggio Calabria nel 1999 – costruisce la drammaturgia di Venuti dal Mare, un racconto nel quale si intreccia la storia di un giovane ragazzo e quella di una comunità entusiasta per l’arrivo in città di quei due misteriosi guerrieri opliti.
Venuti dal Mare, 50 anni dopo i Bronzi
Venuti dal Mare è uno spettacolo teatrale nato nel 2022. Un’idea che Tramontana coltivava già da molto tempo si è concretizzata in occasione del cinquantesimo anniversario del ritrovamento dei Bronzi di Riace, avvenuto il 16 agosto del 1972. Da circa un anno lo spettacolo teatrale calca con successo i palcoscenici italiani, cercando di restituire al pubblico una storia, quella del 1981, vista con gli occhi di un adulto, Tramontana, che posa il suo sguardo indietro, al ragazzo che era e a una città, Reggio Calabria, ancora socialmente provata per essersi vista negare la possibilità di diventare capoluogo di regione, rimanendo così relegata in una condizione di perenne marginalità.

Un romanzo di formazione
Tramontana che in luglio ha replicato lo spettacolo a Torino e Frosinone, accompagnato da Ernesto Orrico che per l’occasione ha abbandonato il suo ruolo di attore per diventare Dj, riprenderà le repliche in autunno, riportando in scena le lancette indietro nel tempo, per il suo personale racconto di ex adolescente nella città della Fata Morgana.
Se è vero che Venuti dal Mare rientra in quel genere riconosciuto come Teatro di Narrazione, quindi quel tipo di drammaturgia costruita intorno a temi di attualità politica e sociale, in cui l’attore coincide con la figura di un narratore testimone dei fatti accaduti, risulta altrettanto vero che la performance di Tramontana presenta alcune peculiarità che lo collocano, azzardando un accostamento strettamente letterario, nella dimensione del romanzo di formazione, quindi una narrazione che segue la crescita del personaggio.

In scena non c’è un narratore di cronache esclusivamente collettive, ma un attore che attraverso il suo monologo ci rende partecipi di un suo esclusivo flusso di coscienza. Ciò che affiora è il suo racconto personale messo in relazione con le aspettative di una città che, con l’arrivo dei Bronzi, si illudeva di uscire dalla sua condizione di periferia.
Il testo drammaturgico è concepito come un ipertesto, così una serie di eventi storici raccontati in ordine sparso, quasi come se fossero dei link di un’epoca pre-digitale sui quali cliccare, creano una narrazione tanto emozionante quanto incompleta. Ma è proprio nell’incompiutezza descrittiva, tipica dell’alternarsi dei ricordi, che si determina la sua originalità.
Viaggi paralleli
Una trasmissione radiofonica diventa l’espediente narrativo per dare inizio ad un racconto privato che inevitabilmente raggiunge un pubblico fatto soprattutto di giovani. È il racconto di un ragazzo degli anni ‘80 che parla con altri giovani che, diventano in quel momento, nonostante lo scarto temporale, suoi coetanei. Tramontana riesce a tenere lontana ogni forma di retorica paternalistica, scarta il senso di superiorità che si presenta quando si parla della propria giovinezza. Semplicemente, racconta delle cose successe in un momento in cui il mondo stava cambiando e ci riesce con ironia e leggerezza.

I Bronzi di Riace, figure avvolte da un alone di mistero che ne rafforzava la popolarità, dopo il lungo intervento di ripulitura e restauro presso il Museo Archeologico di Firenze, finalmente nell’estate del 1981 stavano per tornare a casa, non prima di un passaggio a Roma per volere del presidente partigiano Sandro Pertini.
Il Museo Archeologico di Reggio Calabria era pronto ad accoglierli, una città intera lusingata dal fatto di poter essere visitata, come Pompei, Roma e Parigi, da persone di tutto il mondo, per l’importante scoperta delle antiche, preziose ed enigmatiche statue greche. Ma quello dei Bronzi non è l’unico viaggio. Parallelamente, in pullman, dopo una gita tra Francoforte, Londra e Parigi, la sera del 2 agosto 1981 un gruppo di giovani scout faceva ritorno a casa.
Reggio Calabria tra passato e presente
Attraverso il viaggio, Tramontana, traduce la sua esperienza interiore: una nascita come quella dei Bronzi emersi dalla profondità del mare, l’adolescenza fatta di esperienze nello spazio e nel tempo, la maturità fatta anche di disillusioni e, dopo il lungo viaggio, l’incontro con la morte, il primo lutto di un quindicenne che, per quella “mania, di dare ai nipoti il nome del nonno”, vedeva il suo nome scritto sul manifesto a lutto. Nel parallelismo tra il suo viaggio personale e quello dei Bronzi, Tramontana, non fa altro che restituire se stesso e il suo percorso di uomo inserito nella circolarità della vita.

Da maggio ad agosto una serie di eventi aveva segnato la storia non solo personale, ma anche quella della sua città e di un mondo sulla soglia tra un passato e un presente destinato alla digitalizzazione. La morte di Bob Marley, l’incidente mortale di Rino Gaetano, la tragedia di Vermicino con la morte in diretta televisiva del piccolo Alfredino Rampi, l’attentato a papa Wojtyla, sono le storie che si alternano ai ricordi personali di quei venti giorni lontani da casa e con pochissimi contatti con la famiglia, giusto qualche minuto per dire «stiamo bene, ci stiamo divertendo», tanto poi i genitori «si sarebbero sparsi le notizie fra loro», perché ci volevano molti gettoni per telefonare dall’estero e i soldi dovevano bastare fino al ritorno a casa.
Venuti dal Mare tra spazio e tempo
La musica che si alterna ai ricordi e ai racconti emoziona per la sua capacità di riportarci a quel 1981. I successi musicali diventano un ponte con il passato, trascinando il pubblico in una dimensione temporale accarezzata da successi come Enola Gay, Sfiorivano le viole, No woman no cry, Summer on a solitary beach, La costruzione di un amore e Quello che non ho. Un giradischi, i dischi in vinile, il cubo di Rubrik che in Italia diventa una moda proprio nel 1981, uno zaino, il modellino di una Volvo 343 per ricordare la tragica morte di Rino Gaetano, diventano oggetti capaci di superare la dimensione del monologo, imponendosi in una dimensione corale della scena.
L’estate è il riferimento temporale delle vicende, ma il tempo più che indicare un periodo si avvicina molto di più a una condizione, una qualità di ciò che è stato. Non un tempo misurabile, quanto una esperienza pronta a comunicare valori condivisi e relazioni sociali. Per questo motivo il narratore si chiede:
«Quanto spazio è necessario, perché il tuo mondo cambi? Quanti metri, quanti chilometri Sì, spazio. Non tempo. Quello è facile basta un calendario… È nel tempo che siamo abituati a calcolare i cambiamenti, no? Ma lo spazio?».
Un tempo policronico
Non è il tempo a creare le relazioni sociali, quanto lo spazio. I 700 metri che separano la casa dal museo di Reggio Calabria, le strade percorse ogni giorno, gli angoli della città conosciuti a memoria, sono gli spazi che creano le relazioni sociali e allora il tempo diventa policronico, legato ai cicli della vita e delle stagioni, altro da quel tempo così come siamo abituati a conoscerlo, misurabile quantificabile e monetizzabile. La condizione dell’estate si scontrerà con quella dell’autunno che conoscerà la delusione per un tradimento e la fine dell’entusiasmo di una città che assisterà alla conclusione delle lunghe file davanti al museo. I due guerrieri venuti dal mare finirono per essere inghiottiti, insieme ai ragazzi degli anni ‘80, in uno spazio vuoto e in un tempo monocronico incapace di creare relazioni.

Venuti dal Mare è una produzione Spazio Teatro. Scritto e interpretato da Gaetano Tramontana, con la partecipazione in scena di Alessio Laganà (Dj set live), la collaborazione artistica di Anna Colarco e, per luci e audio, di Simone Casile.
Maria Concetta Loria