«Mio fratello aveva vinto un viaggio-premio con la Findus, disse: vieni, mia moglie rinuncia, dobbiamo tirarci su. Andammo dunque a Rio de Janeiro: stavamo salendo verso il Cristo del Corcovado quando sentimmo alla radio la parola “Taurianova” E io mi sentii piccolo così».
Negli anni ’90 la frase «Tanto si ammazzano fra loro» non prevedeva la presenza di innocenti.
Il paese di don Ciccio Macrì detto Mazzetta, della sua Mercedes e dell’ospedale che sistemava tutti. Pertini che lo caccia via con un provvedimento senza precedenti, il consiglio comunale sciolto per mafia. E poi la faida, la Calabria buia, perduta, tribale. Oltre trent’anni dopo, è successo che alcuni parenti delle vittime – delle une e delle altre famiglie – hanno ideato e partecipato a un docufilm, presentato nella chiesa del Rosario. Persone da ascoltare – gente come noi, con gli occhiali, con i figli, ma bollati a vita – perché questo è un piccolo miracolo. Un segno di futuro, che va oltre la paura e il risentimento.
Così hanno salvato i bambini delle faide
C’è una storia di quegli anni, rivenuta fuori da poco e raccontata anche da don Luigi Ciotti: a quel tempo, i bambini delle faide calabresi furono nascosti a casa di famiglie che si offrirono di crescerli, a rischio della vita. Quei bambini oggi sono uomini e donne salvate, magari hanno un altro nome, uno fa il musicista. Il male ha un appeal commerciale, il bene stufa: chi ha mai raccontato questa storia? Del resto viviamo in un paese in cui i libri noir sono più degli omicidi.
Quel romanzo e la distruzione di una comunità
Patria di Fernando Aramburu non è un noir ma una storia vera: letta, riletta, regalata. Parla del terrorismo dell’Eta nei Paesi Baschi, di innocenti ammazzati, di esistenze al buio e morti che camminano, di un sentimento che non è mai perdono, forse rimorso. Di posti chiusi, silenzi e omertà. Aramburu racconta la distruzione di una comunità, che è poi quello che accadde a Taurianova e ad altri paesi della Calabria. Con una rinascita che arriva all’ultima riga.
Quindi, ecco il docufilm Il Venerdì nero: dopo trent’anni di silenzio che non sono passati invano. Insolita la location per la presentazione, ma girando per la Calabria, scoprirete che moltissime esperienze di riscatto, di lavoro e di resistenza partono da una molla, la fede. Non ci sono state solo processioni fermate sotto il balcone del boss, ma preti e, meno spesso, vescovi che si sono ribellati.
Fu una faida feroce, i particolari macabri stanno dentro la letteratura della ‘ndrangheta e ne parlarono anche a Rio, come racconta il figlio e nipote di due vittime, oggi assessore. Ci furono decine di morti, fu colpita una ragazzina. La vendetta doveva arrivare ai figli dei figli, ai padri dei padri. Taurianova è più grande di Locri, ha il colore delle campagne. In certe strade senza nome ci si perde, ogni tanto il cippo di una Madonna e fiori finti, confini invisibili, e una varietà incredibile di case: esagerate, non-finite, dignitose. Ci sono tornato di recente per Agrifest, su invito di un gruppo di ragazzi conosciuti in un centro civico dove si fa formazione e accoglienza: lavorano per la buona e sostenibile agricoltura, prezzo giusto, salario giusto.
Ma quanti anni sono passati, Taurianova? Nel ’91 per la mattanza scattò il coprifuoco.
Tutto quello che è rimosso, prima o poi riaffiora
Il sociologo Mimmo Petullà, figlio di una vittima, dice nel film: tutto ciò che è rimosso, prima o poi riaffiora. «E non bisogna scadere nella commemorazione, lo scopo è quello di ricostruire una memoria collettiva. La ‘ndrangheta ha paura della memoria, ha bisogno di persone che non pensano». Dietro di lui, la foto del padre. I ragazzi del Pci appena diventato Pds scesero allora in piazza per dire basta, Giovanni Accardi dice: «Volevamo occupare il nostro spazio di giovani, non potevamo mettere la testa sotto la sabbia». Il Partito comunista aveva già i suoi martiri: Rocco Gatto, Giuseppe Valarioti, Giannino Losardo.
«Noi non ci vendicheremo»
Il Venerdì Nero, un anno di lavoro, è firmato da Nadia Macrì, che è direttrice di Taurianova Talk, e dal cugino Filippo Andreacchio. Il loro nonno si chiamava Antonio Alampi e fu colpito alle spalle, nella campagna verso Polistena. «La sua storia ha segnato la nostra famiglia: era tornato a piedi a casa dalla guerra, aveva visto l’orrore. Non sopportava le armi. Due settimane dopo uccisero nello stesso luogo un’altra persona, ci è rimasta sempre in testa l’ipotesi che nonno Antonio fosse stato colpito per sbaglio». In chiesa, Vincenzo “Cecé” Alampi, suo figlio, si alzò in piedi per dire che no, loro non avrebbero reagito. «Andiamo avanti, non ci vendichiamo» disse. Poi è diventato direttore della Caritas diocesana. Oggi aggiunge: «Non siamo rimasti intrappolati dalle ragioni del passato».
Nadia Macrì era bimba a quei funerali e da allora le ronza in testa quella frase di Peppino Impastato: «La mafia è una montagna di merda». Forse questo film è una forma di perdono? «Nessuno ce lo ha mai chiesto. Più che perdonare, mi viene in mente il verbo ricominciare».
La voce della cronaca nera è di un carabiniere, il maresciallo maggiore Salvatore Barranco, che guida la caserma della cittadina. L’elenco dei morti è speculare a quello di chi è finito in carcere, di chi si è pentito. «Nessuno ci ha detto no» – commenta Nadia Macrì: «Si sono fidati tutti».
Angela Napoli, parlamentare del centrodestra che finì sotto scorta per le sue denunce, ricorda che allora non si parlava di criminalità nelle scuole: la consapevolezza arrivò dopo le stragi del ’92. Ma Taurianova è stata più lenta di altri paesi.
Quel giorno mio padre doveva andare dai professori
Massimo Grimaldi, assessore alla Legalità e allo spettacolo di una giunta in teoria leghista – per l’influenza dell’ex presidente regionale facente funzione Nino Spirlì – in pratica ormai civica, non trattiene le lacrime. «Fecero uscire mio padre e mio zio dal negozio, fu un’esecuzione. Quel giorno papà doveva andare al colloquio con i professori. Se sai che ha sbagliato, pensi: se l’è cercata. Non ho nemmeno questa consolazione».
C’è il viceparroco di Rosarno, don Giovanni Rigoli, che ha fatto la tesi sullo scioglimento dei comuni per mafia. Ricorda l’arciprete Muscari-Tomaioli, che stampò un manifesto dirompente e coraggioso: «Fermatevi e siate maledetti da Dio. Io non vi conosco, ma con quale coraggio vi dichiarate fedeli della Madonna della Montagna, se non risparmiate nemmeno una bambina di tredici anni». La Madonna di Polsi, la devozione e “Il Crimine”, citata in mille ordinanze.
Alla proiezione mancava il sindaco
Alla proiezione non c’era proprio tutto il paese, ma quasi: mancava il sindaco, c’erano tutti gli assessori, maggioranza e opposizione, le associazioni, di sicuro qualcuno non è venuto perché ha già versato troppe lacrime, il vescovo ha mandato un messaggio. Ma la chiesa del Rosario era piena, Nadia è stata felice di vedere tanta gente. In molti non avranno dormito, una carrellata di facce sarebbe stata una bella scena per il film, che presto sarà disponibile su YouTube. Merita di finire in qualche Festival, non è solo la storia di Taurianova ma di anni dominati dalla paura e dal dolore, di certi nostri fantasmi. E di una nuova generazione che non ne vuole avere più.