Fenestrelle, i calabresi nelle prigioni dei Savoia

Che fine fecero i reduci del Regno delle Due Sicilie subito dopo l'Unità d'Italia? I più si adeguarono al nuovo ordine, ma c'è chi finì nel forte piemontese, tristemente famoso per la sua disciplina rigidissima. Qualcuno ci lasciò le penne, qualcun altro si mise a fare il mafioso...

Condividi

Recenti

È un episodio minore della grande Storia, di cui i calabresi non sono stati protagonisti. Eppure vari calabresi lo hanno vissuto in prima persona.
Ci si riferisce alla storia dei reduci dell’Esercito del Regno delle Due Sicilie all’indomani della Seconda Guerra d’Indipendenza.
Sbandati, prigionieri di guerra, riarruolati dal Regno d’Italia o disertori datisi alla macchia.
Alle loro spalle troneggia, massiccia e a tratti sinistra, l’ombra di Fenestrelle, il forte che domina la Val Chisone, un angolo suggestivo del Piemonte ai confini con la Francia.
Molti vi finirono prigionieri, altri vi arrivarono per completarvi la leva, alcuni vi finirono “in punizione” e qualcun altro (pochi per fortuna) vi morì.

soldati-calabresi-borbonici-prigionieri-savoia
Soldati borbonici del Sedicesimo battaglione cacciatori

Due morti di Cosenza

Prima di entrare nel dettaglio, è importante raccontare la storia di due prigionieri cosentini. Sono il contadino Domenico Visconti, nato nel 1837 a Belvedere Marittimo, e il tessitore Antonio Veltri, nato a San Pietro in Amantea nel 1835. Le loro storie sono tragicamente simili.
Visconti (che nei ruoli matricolari è iscritto come “Viscondi”, probabilmente per un errore di pronuncia), arriva a Fenestrelle il 3 febbraio 1862 e vi muore di tifo il 16 aprile successivo.
Veltri, invece, arriva a Fenestrelle l’8 luglio 1862 e vi muore il 7 novembre successivo di febbre reumatica.

Ladri e disertori

Ma come mai i due cosentini finiscono a Fenestrelle? “Viscondi” entra nell’Esercito borbonico nel 1858 come soldato di leva ed è arruolato in un battaglione di Cacciatori. Diventa quindi prigioniero di guerra a Caserta l’otto settembre 1860. Torna a casa, ma si riarruola a Napoli il 7 giugno del 1861 ed entra nei Bersaglieri. Il 17 settembre successivo lo arrestano per furto: sconta quattro mesi di carcere e poi lo mandano a Fenestrelle.

soldati-calabresi-borbonici-prigionieri-savoia
Una commemorazione neborbonica in divise d’epoca

Veltri, invece, viene sorteggiato alla leva borbonica nel 1859 e finisce nel Secondo reggimento di linea. Alle fine delle ostilità tra Regno di Sardegna e Due Sicilie si riarruola nel Quarantatreesimo di fanteria il 5 giugno 1861. Tenta la diserzione e… finisce a Fenestrelle.

Sbandati, prigionieri e disertori

Un po’ di chiarezza è doverosa. Iniziamo dalla cosa più banale: gli obblighi di leva.
Il Regno delle Due Sicilie aveva una leva militare in parte più leggera rispetto a quello dei Savoia: non venivano arruolati tutti gli appartenenti a uno scaglione, ma si procedeva con sorteggio.
Per il resto era più pesante: chi ci incappava, doveva prestare servizio per quattro anni, contro i due e mezzo-tre dei “savoiardi”. Ma la scappatoia c’era: pagare una tassa oppure trovare un sostituto.
Ancora: secondo il Diritto internazionale bellico, se uno Stato ne assorbiva un altro, ne ereditava anche gli obblighi. Quindi, il Regno di Sardegna doveva far finire la leva ai soldati borbonici. Questo spiega le vicende di Visconti e Veltri.

Due parole su Fenestrelle

E Fenestrelle, in tutto questo? Si può subito chiarire una cosa: non era un campo di concentramento. Nato come fortezza di confine, il forte fu adibito a carcere per un breve periodo subito dopo la Restaurazione. Poi divenne sede dei Cacciatori Franchi, un corpo “punitivo” (cioè caratterizzato dalla disciplina durissima) e, subito dopo la Seconda Guerra d’Indipendenza, fu usato come “deposito” per prigionieri di guerra in attesa di essere riassegnati o rispediti a casa.
Il Forte, c’è da dire, non era un ambiente salubre: i suoi 1.600 e rotti metri di altezza lo rendevano proibitivo per molti meridionali. Ma nessuno vi fu torturato o passato per le armi.
Per ricapitolare: si finiva a Fenestrelle come prigionieri di guerra, fino alla proclamazione del Regno d’Italia. Oppure, subito dopo, perché riottosi alla disciplina dell’Esercito e quindi da “correggere”.

soldati-calabresi-borbonici-prigionieri-savoia
Una manifestazione in costume nel forte di Fenestrelle (foto di Roberto Cagnina)

Conforti, il folle di Catanzaro

La storia più singolare è quella di Giuseppe Conforti, nato a Paterniti, nel Catanzarese, il 1830.
Conforti, autore di un memoriale simpaticissimo, è un personaggio esuberante. Si dichiara, infatti, di famiglia nobile ma decaduta e perciò costretto a fare il falegname. Nel 1856 il Nostro incappa nel sorteggio e parte soldato. E passa subito i primi guai.
Parrebbe che la moglie, giovane e bella, di un suo superiore «inservibbile a cortivare la sua…» lo corteggi spudoratamente. Così finisce in gattabuia.
Lo liberano, ma solo per partecipare alla sfortunata campagna militare del 1860. Ripara col suo reparto nello Stato Pontificio, quindi torna a casa. E lì ricominciano i suoi guai.

Le disavventure di un reduce

La Guardia Nazionale di Cosenza, su indicazione del prefetto, inizia le sue retate tra i reduci sbandati. Conforti viene preso prima di arrivare a Catanzaro ed è spedito a Milano.
Detenuto nel Castello Sforzesco, sulle prime dichiara fedeltà a Francesco II di Borbone, poi cambia idea e si riarruola a modo suo: dà un nome falso e scappa.
Torna in Calabria e si rimette a fare il falegname, ma «quelli giudei» della Guardia Nazionale lo ribeccano e lo rispediscono al Nord. Non a Fenestrelle, ma a Genova.
Lì accetta il riarruolamento, parrebbe per davvero, ma prima tenta un ricorso. In attesa del risultato entra nel reparto del Genio nel 1862.

Francesco II di Borbone, l’ultimo re delle Due Sicile

Ma la vita militare non fa per lui: dopo un anno di punizioni disciplinari, diserta e si rifugia presso la Corte borbonica in esilio a Roma. Francesco II lo riarruola tra i briganti, non in Calabria ma a Benevento. Le tracce di Giuseppe Conforti si perdono qui. E la durezza delle repressioni nel Beneventano non fa sperare bene per lui.

Undici fuggiaschi

Cosa succede a chi si riarruola? Quel che capita sempre: i più si si adeguano, qualcuno no. E magari diserta. Al riguardo, finiscono sotto processo a Milano cinque soldati cosentini, originari di Luzzi e Rose. I cinque marmittoni, scappano il 25 maggio 1861 dal Ventinovesimo e dal Trentesimo fanteria di Savigliano nel Cuneense, a causa dell’eccessivo rigore della disciplina.
Discorso simile per altri sei calabresi che il 6 luglio successivo disertano dal Quarantaduesimo fanteria di Racconigi, sempre nel Cuneense.

Conforti il camorrista

Nel 1861 la parola mafia non è ancora entrata nel linguaggio pubblico.
Al suo posto si parla di “camorra”, come sinonimo di “criminalità organizzata”. E certi episodi si verificano anche a Fenestrelle, a partire dalle estorsioni.
Al riguardo, finisce sotto processo Giovanni Coppola, un soldato originario di Rossano finito tra i Cacciatori Franchi di Fenestrelle. L’accusa è di aver tentato, il 26 luglio 1862, di ottenere un “pizzo” da un commilitone, che aveva vinto al gioco.
Coppola, classe 1829, è un veterano dell’Esercito borbonico: ha finito la leva nel 1857 ed è richiamato subito dopo. Le nuove autorità non si fidano di lui. Infatti, lo spediscono a Fenestrelle come “disarmato”, cioè furiere. Un ruolo che si dava agli indesiderabili. Per lui il forte non basta e finisce in galera a Torino.

La piazza d’armi del forte di Fenestrelle

Un’altra estorsione

Un altro episodio grave si verifica nel Forte di Exilles, sempre nel Torinese e sempre sede dei Cacciatori Franchi.
I protagonisti sono tre meridionali, tutti pregiudicati, finiti nei Cacciatori per i soliti motivi “disciplinari”. Tra loro spicca un altro Conforti, Ferdinando, che ha una storia triste alle spalle.
Orfano di Reggio Calabria, il Nostro è prigioniero di guerra a Capua. Ed è la sua prigionia più lieve, perché finisce in manette più volte per furto, ingiuria e minacce.
Il 23 aprile 1862 viene spedito ad Exilles.
Il 9 giugno successivo, assieme ai suoi due compari (un avellinese e un napoletano) chiede il pizzo a tre commilitoni piemontesi. Le vittime si rifiutano e vengono aggredite a colpi di baionetta. Anche per questo Conforti il carcere è una meta obbligata.

Il dramma degli sconfitti

I dati su questi ex soldati duosiciliani provengono da due testi documentatissimi: I Prigionieri dei Savoia di Alessandro Barbero (Laterza, Bari 2014) e Le Catene dei Savoia di Juri Bossuto e Luca Costanzo (Il Punto, Torino 2012).

Lo storico Alessandro Barbero

I tre autori hanno compulsato una mole impressionante di documenti d’archivio per raccontare le vicende di tanti soldati, soprattutto di quelli degli Stati preunitari sconfitti, subito dopo il Risorgimento.
Queste ricerche rivelano uno spaccato sociale e umano impressionante e interessante allo stesso tempo. È il dramma dei reduci sospesi tra due mondi: quello che hanno perso e quello che non sentono ancora loro. Ciò vale anche per i calabresi.

Sostieni ICalabresi.it

L'indipendenza è il requisito principale per un'informazione di qualità. Con una piccola offerta (anche il prezzo di un caffè) puoi aiutarci in questa avventura. Se ti piace quel che leggi, contribuisci.

Iscriviti alla Newsletter

Ricevi in anteprima sul tuo cellulare le nostre inchieste esclusive.