Caramelle calabresi nella calza della Befana

Trent’anni di storia. La Silagum è una delle superstiti della legge 44. Con 5 milioni di fatturato e 2.500 tonnellate di prodotti l’anno. Le gelée che piacciono anche ai giapponesi

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Considerando che la Befana preferisce il chilometro zero, stanotte avrà fatto rifornimento in Calabria. Calze gonfie come palloncini, giocattoli, monetine di cioccolata, carbone di zucchero, ma soprattutto caramelle e gelatine. E non parliamo dei soliti marchi, quelli super pubblicizzati e famosi in tutto il mondo. Oggi la Calabria può offrire una gamma di golosità, con prodotti dop e ingredienti genuini, che ha pochi avversari in Italia: Silagum. Il nome ha certamente meno appeal rispetto alla celebre griffe degli iconici orsetti gommosi, ma è un’azienda che produce 2.500 tonnellate di caramelle l’anno e da trent’anni è una realtà economica della zona industriale lametina, la cosiddetta ex Sir, a lungo un deserto buio di capannoni vuoti.

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Lo stand milanese di Silagum a Tuttofood 2021

Silagum, le caramelle vendute in Russia e Stati Uniti

Trenta operai, quasi tutti del lametino, e tre turni di lavoro spalmati su ventiquattro ore, perché l’impianto di estrusione, made in Francia, che fornisce le rotelle di liquirizia, lavora giorno e notte. Cinque milioni di euro di fatturato e un grosso investimento per eliminare la plastica dagli incarti. Le caramelle calabresi sono vendute in Francia, Inghilterra, Finlandia, Russia, Stati Uniti. Sono apprezzatissime in Canada ed esportate finanche in Sud Africa e Giappone.

Primo e secondo tempo

C’è un primo e un secondo tempo nella cronistoria della Silagum. Nata a fine anni Ottanta per iniziativa della Compagnia delle opere, l’associazione imprenditoriale legata al movimento Comunione e liberazione, grazie ai generosi fondi della De Vico (la legge 44), ha rappresentato un esperimento pilota calabrese dell’imprenditoria giovanile.
Resta una delle poche superstiti di quell’ondata a distanza di trent’anni. Il tutor è stato il patron del cioccolato Agostoni (prodotto dalla fabbrica lombarda Icam), che è ancora tra i cinque soci. Nel 2005 scoppiava il caso Why Not su intrecci tra potere, fondi pubblici, istituzioni e presunte logge massoniche. L’inchiesta di De Magistris coinvolgeva protagonisti della politica italiana e anche la Compagnia delle opere. Anni di processi e clamori e un finale di assoluzioni.

Il secondo tempo della fabbrica di caramelle inizia proprio nel 2005, quando entra in azienda Claudio Aquino come direttore commerciale. «Ci sono vari step – spiega – per portare un’azienda al successo. Il primo passo è fare un buon prodotto, poi devi metterlo sul mercato, devi saperlo presentare, dargli un vestito giusto». Aquino, oggi alla guida del marketing ma anche amministratore delegato, sulla vicenda Why Not e fondi pubblici taglia corto. Parla la realtà attuale.

Nessun sostegno pubblico

«La Compagnia delle opere ha
 promosso Silagum all’origine, l’ha favorita creando l’incontro tra i soci calabresi e il nostro socio di Lecco Antonio Agostoni, che resta un sostenitore e
 un punto di riferimento. Silagum è un’azienda che cammina con le proprie
 gambe, è una società a capitale privato, che non gode di sostegni pubblici».
 La fabbrica è ancora lì, nella ex Sir, dove qualche capannone si è animato nell’ultimo
decennio. Il trasporto è soprattutto su gomma ma per le destinazioni oltreoceano ed orientali, le caramelle calabresi viaggiano su container, partono da Napoli e non da Gioia Tauro «per scelte logistiche dei nostri clienti» precisa Aquino.

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Operai della Silagum nello stabilimento di Lamezia Terme

Silagum: gli inizi con le caramelle al luna park

«Gli inizi – dice Aquino – sono stati tutti in salita, l’azienda produceva per conto terzi, senza marchio. Si faceva fatica – racconta – ad avere un prodotto di qualità perché mancavano know how e personale specializzato. Le caramelle venivano vendute sfuse nei mercati, nei luna park, nelle fiere. Con caparbietà non ci siamo arresi e abbiamo portato avanti il nostro progetto e abbiamo cominciato ad avere un’identità e importanti riconoscimenti». Oggi il marchio Silagum viene esportato in molti Stati, circa il 30% della produzione è destinato ai mercati esteri.

La Calabria dentro

«Abbiamo puntato – commenta Aquino – a farci riconoscere sugli scaffali, prima avevamo un intermediario che rivendeva a marchio suo e non c’era legame con il consumatore. Oggi chi sceglie Silagum sceglie un prodotto di qualità, è questa la nostra forza e il nostro orgoglio». Caramelle profumate e coloratissime, con la Calabria dentro: bergamotti, limoni e arance che provengono da Gioia Tauro e Reggio e poi la liquirizia dop di Naturmed. Siamo molto attenti alle materie prime – precisa Aquino – le gelatine contengono il 20 per cento di succo di frutta e siamo gli unici produttori di rotelle di liquirizia bio».

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Caramelle al limone prodotte dalla Silagum

La causa ambientalista

Il futuro? Roseo, quasi come una gelée alla fragola. «Il post pandemia è stato naturalmente difficile – ammette Aquino – siamo una piccola realtà e abbiamo subìto gli aumenti dei costi delle materie prime. Non possediamo la forza delle multinazionali, ma cerchiamo di innovarci. Da poco è stato fatto un grosso investimento per avere confezioni in carta eliminando la plastica. Siamo molto orgogliosi di dare il nostro contributo alla causa ambientalista».

Sulle difficoltà e le lamentele di una Calabria arretrata nella produzione e nei trasporti, il presidente del cda della Silagum non segue la consueta linea di molti colleghi imprenditori: «Se hai in testa una cosa e sai che può funzionare, la fai, anche se sei in Calabria. Al centro dell’attenzione non devono esserci le difficoltà, ma bisogna mettere in risalto le caratteristiche positive e le peculiarità. Anche Sperlari, che è di Cremona, ha le sue difficoltà. Diverse dalle nostre, ma le ha. Le caramelle Silagum sono tra le più buone in commercio ed è su questo che dobbiamo puntare».

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