È appena finito il Festival di Sanremo, si sa, e interrogarsi su cosa significhi per questo nostro paese la sua puntuale, amplificatissima e superimposta celebrazione, nella disputa canonica tra elitarismo di massa e disprezzo intellettualistico per il pop, nella liturgica lotta tra apocalittici e integrati della canzonetta, è diventato oramai pericoloso come affrontare un dogma di fede, un tabù, un totem da scomunicare o idolatrare senza discussione.
Festival per tutti (e tutto)
Certo è che il Festival per antonomasia, quello di Sanremo, da settant’anni a questa parte è diventato il modello di spettacolo popolare che questo paese si è costruito per significare la categoria di un «evento di spettacolo popolare che ha luogo periodicamente in determinate località, con rappresentazioni di particolare rilievo e con programmi aventi di solito un loro carattere costante» (Treccani). La logica dell’evento, la festivalizzazione, ha colpito nel frattempo in ogni settore. Ormai un festival incombe per ogni cosa, dalla letteratura alla filosofia, dal porno all’edilizia, dalla cucina bio ai materiali high-tech. Un carattere di crescente enfatizzazione spettacolare e di ripetitività che, a partire dall’originale, ha generato sin dalle prime edizioni sanremesi anche curiose imitazioni e stravaganti repliche locali. Anche con sviluppi istituzionali.

La Regione Calabria, per esempio, alcuni fa nella rincorsa ai “grandi eventi” spettacolar-turistico-culturali da celebrare in regione, si inventò un bando pubblico intitolato non a caso “Calabria Terra di Festival”. Ma anche uno dei primi tentativi di clonazione della rassegna canora sanremese, incredibilmente, prese in passato le mosse proprio in Calabria. E per similitudine con l’evento originario, proprio in un piccolo centro rivierasco del Tirreno cosentino, solo qualche anno dopo la celebrazione dal primo Sanremo canzonettistico.
Il Lucival: San Lucido come Sanremo
Accadeva a San Lucido negli anni ’50 del Novecento. Il festival appena gemmato sulle sponde calabre, magra e provinciale imitazione del primo, non poteva fare a meno di echeggiarne almeno la desinenza. E fu così che si chiamò Lucival. Dato che “sentirsi Sanremo”, sognare le luci della ribalta canora con contorno di personaggi noti ed esibizioni di arti varie, con musiche, balli e luminarie – potenza primordiale dei primi organismi staminali dell’odierna società dello spettacolo – pare sia stata la molla di un’aspirazione agonistica per uscire dal grigio anonimato locale della vita di provincia, quando quella Calabria del secondo dopoguerra ancora neanche intravedeva il boom.

La prima edizione del Lucival, «grande evento locale» celebrato nella “perla del Tirreno” calabrese, è datata 1954. Per chi ne divenne artefice «era il momento giusto per inventarsi qualcosa di simile» a Sanremo anche in un paesino di mare della lontana Calabria tirrenica, che dall’altro capo dell’Italia sognava di uscire con la musica, le canzoni e i cantanti dalle ombre lunghe della guerra. Alcuni giovani del luogo «al passo con i tempi capiscono che qualcosa sta cambiando nel mondo dello spettacolo». E così pensano bene di organizzare a casa loro “una kermesse canora-culturale, alla quale danno il nome di Lucival – abbreviazione originale di Festival San Lucidano”.
Nilla Pizzi in Calabria
Il Festival di Sanremo era iniziato appena qualche anno prima, nel 1951, quando le canzoni si potevano ascoltare solo alla radio, dato che la televisione non c’era ancora. Il 1954, l’anno del primo Lucival, fu pure l’anno di un avvenimento che cambio la vita dell’Italia popolare: il 3 gennaio la RAI, radiotelevisione italiana, aveva avviato la trasmissione dei primi programmi televisivi in bianco e nero. Nel 1951 il Festival di Sanremo lo vinse l’allora giovanissima Nilla Pizzi, che aveva spopolato con Grazie dei fiori, considerata all’epoca, con Papaveri e papere una sorta di manifesto in musica dell’Italietta di buoni sentimenti post bellica prudentemente guidata dalla Democrazia Cristiana di De Gasperi.
Proprio la Pizzi, «con la sua voce melodiosa e la sua avvenente presenza», diventata personaggio familiare con il successo radiofonico del primo Sanremo, fu “ospite d’onore negli anni successivi proprio a San Lucido, conquistando tutti con le sue esibizioni canore”.
C’era chi intravedeva anche in Calabria in quelle presenze musicali amplificate dalla crescente risonanza del festival ligure, «l’avvento di un periodo di ottimismo, di incredibili trasformazioni sociali e di crescente entusiasmo culturale». Furono dei sognatori da pro-loco e filodrammatica di paese e far nascere il Lucival nel 1954. Ingenuità culturale e illusioni visionarie fecero il resto.
I premi per i bambini
«Il Lucival sanlucidano aveva l’impronta di una manifestazione di arte e di cultura varia che ambiva a valicare i confini locali per raggiungere tutta la Calabria; infatti, scrittori, poeti, giornalisti e artisti di varie specialità potevano concorrere per premi quali Il Giornale d’Italia e La Calabria Letteraria». Un mix popolare di musica, cantanti e buoni sentimenti, dato che «la manifestazione era organizzata a scopo benefico, tant’è che gli stessi vincitori devolvevano i premi in denaro a favore dei bambini poveri della scuola».

Il Lucival non era infatti destinato solo ad una platea «di artisti locali e ad un pubblico di adulti», “ma si rivolgeva anche ai più piccini, con concorsi a premi come La Palestra dei Piccoli, L’Ugola d’Oro, Lo Zibaldone». Di fronte a queste auliche e ingenue dichiarazioni artistiche impossibile non provare sfogliando il folto album ingiallito del festivalino sanlucidano, una sorta di Amarcord per un mondo di sentimenti, emozioni e personaggi paesani ormai trapassato.
L’inventore del Lucival e l’inno cittadino
L’idea della manifestazione canora sanlucidana «era maturata grazie alla passione di un insegnante di musica», Giovanni Ciorlia,. Per anni fu animatore e «direttore artistico del festival sanlucidano» (ma anche primo presidente della Pro Loco e a lungo assessore comunale ed esponente della DC locale). Al suo fianco, il «Prof. Dalmazio Chiappetta, il Prof. Antonio Calomino, Sindaco di San Lucido, e il Prof. Giacomoantonio Napolitano (direttore didattico)». L’orchestra Primavera diretta dal maestro Franco Perri e il quartetto Aurora, diretto da Davide Iorio, costituivano, invece, il supporto orchestrale del festival, «il cuore pulsante dell’evento». Dopo aver «trionfato nell’edizione del Lucival del 1955», la canzone A ritmo di beguine, Notte Sanlucidana, «scritta dal maestro Clemente Selvaggio e musicata dal maestro Matteo Puzzello», composta e cantata in quell’occasione, “è divenuta nel tempo l’inno musicale della cittadina”.

Il Lucival fu così nel giro di qualche anno un vero happening indigeno, un «evento musicale di grande richiamo» locale che raccolse nelle sue serate al clou del successo «un pubblico pagante» che, sostengono le cronache, giunse «fino a 7.000 persone». Il Lucival fu ripetuto con successo in diverse edizioni, ma senza mai valicare «i confini della provincia».
Si teneva in estate in uno spazio all’aperto, e tutto durò sino allo scoccare del fatidico 1968. Poi, cambiati i tempi, la musica e le mode, solo qualche replica minore e grandi nostalgie attestate da reduci e gruppi facebook locali, che oggi del “mitico Lucival” sanlucidano conservano a futura memoria reliquie e icone del bel tempo che fu.

San Lucido (quasi) come Sanremo: i big del Lucival
Si ricorda così qualche memorabile comparsata di alcuni volti noti del bel mondo dello spettacolo nazionale. Quella dell’attrice Sandra Milo o, nel 1968, quella di «Nuccio Costa, mattatore dell’ultimo Cantagiro». Persino un memorabile passaggio di Enzo Tortora, che “accolto calorosamente” presentò il Lucival del 1967. Poi una galleria minore di artisti di passo a cui arrise in quel periodo anche una qualche sporadica notorietà. Qualche esempio? La cantante Anna Identici e il più classico Achille Togliani. O, ancora, «Franco Tozzi e il suo complesso», che al Lucival del 1968 cantò I tuoi occhi verdi, unica hit che si ricordi di colui che altri non è che il fratello del più noto e fortunato Umberto Tozzi.
Insieme a questi, una carrellata di dilettanti locali calcarono il palco delle “voci nuove” del Lucival restando per sempre “promesse locali”. Come “il complesso The Seamen”, o «l’orchestrina sanlucidana degli Aurora». Ma resta, forse unica impronta di vite e carriere artistiche avvolte nel buio della dimenticanza, una folta processione di illustri carneade e di figurine appena tangenti quel mondo fatuo e fatato «della Rai-TV». Epifanie forestiere in mezzo a quelle calde estati di fervore paesano di cui non resta altra traccia che queste fugaci apparizioni artistiche sanlucidane da rotonda sul mare. Evocazioni di nome d’arte quasi circensi e di silhouette teneramente fellinane, fantasmi del palcoscenico rimasti malinconicamente ai margini delle luci della grande spettacolo.
Fantasisti, imitatori e ragazzi di strada
Un appello a cui rispondono nomi da leggenda strapaesana come «il cantante Franco Giangallo», «gli illusionisti del duo Naldys», «la cantante Niky», «l’attrice Nuri Neva», «Rino, il ragazzo di strada», «la cantante della Rai-TV Myriam del Mare», seguita in altre edizioni dalle «applaudite apparizioni delle cantanti Rita Monaco, Germana Caroli, Anna Maria Maresca, Valeria Foroni». Con un contorno fiorito di interpreti e artisti di arti varie, come il «celebre Maestro direttore d’orchestra Giovanni Fenati», «il magnifico trombettista Tony Spada», o «il grande fantasista Riccardo Vitali».
Al cast nostrano dei Lucival di quei tempi non poteva mancare una specie di Noschese dei poveri, il mai più rivisto Mario Di Giglio. Era lui «il bravo imitatore» cui spettava l’arduo compito, in mancanza dei più noti e blasonati personaggi originali, di portare al Lucival tutte «le altre voci delle celebrità mancanti».
Erano pur sempre luci del palcoscenico, Lucival della ribalta.
Le immagini a corredo dell’articolo sono state raccolte negli anni dalle pagine FB “Giovanni Ciorlia – Un pezzo della nostra storia”; C’era una volta Santu Lucidu”; “Tavernetta letteraria”