QUESTO FILM È DEDICATO ALLA MEMORIA DEL DODICENNE, MEDAGLIA D’ORO, GENNARO CAPUOZZO, AL VALOROSO POPOLO NAPOLETANO ED A TUTTI GLI ITALIANI CHE HANNO COMBATTUTO PER LA LIBERTÀ.
Con questa scritta, coi caratteri proprio in maiuscolo, si chiude il film Le quattro giornate di Napoli di Nanni Loy, prima proiezione del ciclo “Resistenza e Resistenze” organizzato dalla sezione ANPI C. Smuraglia di Reggio Calabria e dal circolo Arci Samarcanda, in collaborazione con il circolo Zavattini. «Quattro proiezioni – secondo la presidentessa del circolo ANPI Giuliana Mangiola – per riflettere sulla Resistenza come opposizione ad ogni azione tesa a calpestare i diritti della persona, i valori della libertà e della democrazia. Una rassegna che vuole denunciare quelle forme di sopraffazione con le quali l’altro non è più il prossimo ma il mezzo, lo strumento utile per ottenere potere e affermazione».
Le Quattro giornate di Napoli: la resistenza si allarga
Del film, e del suo grande valore artistico, abbiamo parlato col presidente del circolo Zavattini, Tonino De Pace, e ne riferiremo più avanti. Prima vogliamo invece analizzare l’oggetto dell’opera, l’episodio dal punto di vista storico. E chiederci anche il motivo per il quale esso non abbia avuto la rilevanza che avrebbe certo meritato.
Nel suo manuale di Storia contemporanea il reggino Rosario Villari riporta così le Quattro giornate di Napoli: «A Napoli, intanto – una città che aveva subito nel modo più tragico le conseguenze della guerra, dei bombardamenti aerei, della penuria alimentare e dello sconvolgimento della vita civile – la popolazione, esasperata dalle violenze e dalle angherie delle truppe tedesche, insorgeva battendosi valorosamente e vittoriosamente nelle strade per quattro giorni (27-30 settembre 1943). Era uno dei primi episodi della Resistenza italiana, che coincideva con una diffusa presa di coscienza antifascista in tutto il paese e con la trasformazione dell’antifascismo da atteggiamento di gruppi relativamente ristretti in un vasto movimento di massa».
La città liberata senza aiuti esterni
Nel Dizionario di Storia de Il Saggiatore alla voce “Quattro giornate di Napoli (28 settembre – 1° ottobre 1943)” troviamo questa descrizione: «Episodio di resistenza armata contro l’occupazione tedesca, alla vigilia dell’arrivo delle truppe anglo-americane. L’insurrezione non fu organizzata da un centro militare e politico ma fu la somma di molte iniziative individuali o di gruppo, anche di giovanissimi; vi morirono sessantasei cittadini, tra cui undici donne». Non è poco.
Villari segnala che l’episodio è uno dei primi della Resistenza italiana. Dà anche conto di un suo tratto peculiare, la spontaneità, e sottolinea il valore dei napoletani che vi aderirono. Nel Dizionario, le Quattro giornate di Napoli sono traslate di un giorno, ma nel complesso, per lo spazio loro destinato, si deve tener conto che esso contiene 12.000 voci relative a tutta la storia del mondo intero.
Rimane un dato, incontestabile. Come abbiamo già scritto, il popolo italiano sa poco o nulla di una delle pagine più belle della lotta degli Italiani per la libertà. Dal 27 al 30 settembre del 1943, Napoli diede dimostrazione, con scarsissimi mezzi e altrettanto scarsa o nulla organizzazione, che era possibile scacciare i nazifascisti dalla città, tanto da presentarsi il giorno dopo, all’arrivo delle truppe alleate, già liberata. E tanto da meritarsi due medaglie d’oro al valor militare, una conferita alla città e una alla memoria di un ragazzino di neanche 12 anni, Gennaro Capuozzo.
Gennarino Capuozzo e le Quattro giornate di Napoli
Gennarino era nato nel 1932 in una delle case tipiche del centro storico di Napoli, nella quale abitava con i suoi cinque familiari. Suo padre era stato mandato in guerra nel 1941 e lui dovette darsi da fare per il sostentamento suo, della madre e dei tre fratelli. Dopo l’armistizio dell’8 settembre del ‘43, con il Re e Badoglio al sicuro a Brindisi, il Regio Esercito è abbandonato a se stesso, non sa più chi sono i nemici da combattere. I nazisti occupano Napoli e, giorno dopo giorno, aumentano la pressione sulla popolazione con angherie e soprusi di ogni genere. Gli alleati sono sbarcati a Salerno, ma la città non può aspettare perché il comandante cittadino dei nazisti assume il 12 settembre i pieni poteri, ordinando alla popolazione di consegnare le armi.
Il 22 i nazisti istituiscono un servizio di lavoro obbligatorio per i cittadini dai 15 ai 30 anni e impongono lo sgombero della fascia costiera. Il 27 i Napoletani iniziano ad attaccare i tedeschi con armi di ogni genere, ad alzare barricate, ad assalire i mezzi che trasportano prigionieri italiani. Tra gli insorti ci sono donne e bambini. Il giorno seguente i carri armati tedeschi, mandati dal comandante a fronteggiare la popolazione, sono fermati a a Capodimonte dai partenopei coi cannoni sottratti in precedenza agli occupanti. Messi alle strette, i tedeschi si arrendono e il 30 lasciano Napoli. Nella prima mattinata del 1° ottobre gli alleati entrano nella città, la prima a liberarsi da sola, senza l’aiuto di nessuno se non della dignità messa sotto i loro stivaloni dai nazisti.
Due medaglie al valore
Nella Storia collettiva, quella individuale ed eroica di Gennarino Cappuozzo. È il 28 settembre quando Gennarino si aggrega a un gruppo di ragazzi scappati dal carcere minorile che combatte contro i nazisti. Il 29 Gennarino Capuozzo e i suoi compagni decidono che la morte di 10 persone, uccise in un quartiere poco lontano, va vendicata. Avvistano un mezzo tedesco e lo attaccano. Il camion prova a scappare, ma Gennarino gli si avvicina e getta una bomba a mano contro il mezzo militare. Si avvicina e intima ai tre occupanti di scendere. E li fa prigionieri! Gennarino si sposta in un’altra zona della città. Qui, armato di mitragliatore e bombe a mano, si scaglia contro un carro armato. Una granata, a questo punto, mette a tacere per sempre il suo ardimento. Lo raccolgono col volto devastato e una bomba ancora stretta nel pugno.
La medaglia d’oro verrà consegnata alla madre, con una pergamena dove si legge: «Prodigioso ragazzo che fu mirabile esempio di precoce ardimento e sublime eroismo». L’altra medaglia verrà attribuita alla città di Napoli, che «col suo glorioso esempio additava a tutti gli italiani la via verso la libertà, la giustizia, la salvezza della Patria».
Questi i fatti che dovrebbero essere conosciuti, al pari di tutti gli eventi che hanno restituito la libertà e consegnato una vera democrazia all’Italia.
I dimenticati: Nanni Loy e le Quattro giornate di Napoli
Nanni Loy ha il merito di averli rappresentati magistralmente nella sua opera del 1962, che si segue dal primo all’ultimo fotogramma col fiato sospeso. «Nanni Loy – ci dice Tonino De Pace – è uno dei tanti registi che dopo la scomparsa l’Italia e il suo cinema hanno dimenticato abbastanza in fretta. È stato un regista molto attento alle regole dello spettacolo, ma al contempo anche un geniale innovatore. Il suo Specchio segreto, con l’allora sconosciuta (in Italia) candid camera, ha contribuito a rivoluzionare il mondo della televisione».
«Il film – afferma il presidente del circolo Zavattini – è uno dei pochi che raccontano la Resistenza al Sud e ha contribuito a rendere vivo il ricordo dell’insurrezione napoletana. Con la sua coralità reinterpreta lo spirito solidale della Resistenza. Protagonista del racconto è la città stessa con i suoi popolani, con le microstorie che compongono il quadro di un racconto drammatico che prende le mosse dal soggetto di Vasco Pratolini e dal libro, edito nel ’56, del giornalista Aldo De Jaco La città insorge: le quattro giornate di Napoli. Napoli e il suo popolo di scugnizzi ed eroici combattenti sono al centro della scena, con i loro volti e i loro drammi personali che si sommano a quelli della guerra».
«Nanni Loy – continua De Pace – ha realizzato un film avvincente, dal ritmo sostenuto, sorretto da una schiera di attori di primo piano: Gian Maria Volontè e Lea Massari, Jean Sorel e Aldo Giuffrè, e ancora le grandi Pupella Maggio e Regina Bianchi, un giovane Enzo Cannavale e Carlo Taranto. Un film che, a dispetto del suo valore culturale e cinematografico, critica e istituzioni hanno ingiustamente dimenticato quando, invece, riveste un ruolo centrale nella storia del nostro cinema proprio per essere uno dei pochi che racconta la Resistenza del Sud, ignorata o quasi, a sua volta, al pari del film di Loy, che la valorizza e la tramanda».
Insomma, un film da vedere, per il suo valore artistico e per avere una lettura e una conoscenza più complete della Resistenza italiana al nazifascismo.