Pesce spada, l’imperatore dello Stretto

Nelle acque tra la Calabria e la Sicilia va in scena da secoli l'eterna lotta tra il mastodontico animale e i pescatori. Tra incantesimi in greco antico, inseguimenti e pericoli

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Piovene scriveva che la maggior parte dei calabresi aveva una cultura montanara più che marinara. Contemplavano il mare dalle alture dei loro paesi, senza esservi mai stati vicini. La pesca non si praticava molto in Calabria per la mancanza di porti. Solo in alcuni centri come Parghelia e Scilla l’attività di mare era sviluppata.
Galanti ci informa che i marinai di Scilla erano trecento e veleggiavano su feluche a due alberi che trasportavano merci fino a duecentocinquanta cantaia. Ciascuna imbarcazione aveva un equipaggio di venticinque marinai che partivano in ottobre per vendere e acquistar prodotti di vario tipo.

Commerciavano soprattutto stoffe, alici salate, mandorle, pasta di “rigorizia”, uva passa, manna, limoni, essenza di bergamotto e “portogalli”.
Una volta nei porti dell’alto Adriatico, soprattutto Venezia e Trieste, vendevano le loro merci. Inoltre acquistavano prodotti importati specialmente dalla Germania e dalla Svizzera per rivenderli in Puglia e in Calabria.

La pesca e il problema del sale

Lungo i villaggi della costa c’erano poche imbarcazioni e la pesca si esercitava solo nei mesi in cui il mare era calmo. D’inverno si vedevano solo barche che provenivano dalla Sicilia, dalla Puglia e dalla Campania. Malpica annotava che i pescatori di Sorrento si stabilivano a Schiavonea, portando con sé mogli e figli, all’inizio dell’inverno e andavano via al cominciare dell’estate. Con le loro agili barche, non avevano timore ad affrontare il mare tempestoso, ma spesso la pesca era infruttuosa e portavano a casa solo debiti.pesce-spada

L’attività della pesca, ricordava Galanti, era poco sviluppata anche perché risultava difficile smerciare il pesce fresco in quanto il trasporto richiedeva molto tempo. Si mangiava pesce quando la distanza lo permetteva. Il mare era ricco di acciughe e sarde, ma il sale fossile, ottimo per salare le carni, non era adatto per conservarle. La carenza e il costo eccessivo del sale rappresentava un serio problema. A Crotone, ad esempio, quando la pesca dei tonni era abbondante, molti pesci venivano bruciati o ributtati in mare perché era impossibile salarli o venderli.

Pesce spada, l’imperatore dei mari

Oltre al tonno, la pesca più importante e spettacolare in Calabria era quella del pesce spada. Nel 1862, Lombroso scriveva che erano numerosi i pescatori che si dedicavano alla sua cattura. Erano divisi in piccole società di 10 o 20 membri e il loro linguaggio era «d’antichissimo conio greco».
Il pesce spada (xiphias gladius), l’imperatore dei mari, era una “bestia” lunga da sei a otto piedi. Il peso variava dalle due alle trecento libbre e, talvolta, raggiungeva i quattro quintali. La spada attaccata alla testa del corpo filiforme ne faceva un mostro.

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Pescatori a Scilla

Nel 1791, Stolberg annotava che, nel mare di Scilla, lottavano incessantemente con i «cani di mare». Un giorno le onde avevano scaraventato sulla spiaggia un pesce spada e un pescecane. Il primo aveva infilzato il secondo, ma non riuscendo a ritrarre la “sciabola” e impossibilitato a nuotare liberamente, era morto insieme a lui. I marinai raccontavano che il pesce furioso per la ferita dell’arpione a volte si lanciava contro le barche sfondandole con la spada. Per questo stavano sempre in guardia, soprattutto se l’animale era di taglia considerevole e la ferita leggera.

Il pesce spada e l’incantesimo in greco

Alcuni studiosi sostenevano che il pesce spada arrivava sulle coste della Calabria nel mese di giugno per poi spostarsi sulle coste della Sicilia. Altri scrivevano che a partire dal mese di aprile fino alla fine di giugno, entrando nello Stretto, seguiva la costa sicula per poi costeggiare la Calabria. Il pesce spada si muoveva sempre sulle orme della femmina, che non perdeva mai di vista e un viaggiatore notava che questo sentimento naturale comportava quasi sempre la rovina dell’uno e dell’altra.

Il marinaio che li scorgeva ne approfittava: i suoi colpi cadevano prima sulla femmina, giacché dal momento in cui questa era colpita il maschio non pensava più a fuggire.
Brydone raccontava che i pescatori dello Stretto, alquanto superstiziosi, pronunciavano frasi in greco come «incantesimo» per attirare il pesce spada vicino alle loro barche. E che se per disgrazia l’animale li sentiva parlare in italiano, si tuffava di botto sott’acqua per non comparire più!

Come catturare il pesce spada

In realtà la pesca del pesce spada era molto complessa e sperimentata nel corso dei secoli. Per catturarlo i marinai usavano i luntri, barche con un albero dall’altezza notevole terminante con una piattaforma, dove stava il giovane incaricato ad osservare i movimenti del pesce.

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Un luntro dipinto da Renato Guttuso

Queste imbarcazioni, lunghe diciassette-diciotto piedi, avevano la prua più larga e più alta della poppa per facilitare i movimenti del lanciatore: scelto fra gli uomini più forti e abili, era armato di una fiocina, la cui asta, fatta di legno durissimo, era lunga almeno dodici piedi. Il dardo terminale, che i locali chiamavano freccia, era lungo sette-otto pollici e provvisto di due orecchie mobili di ferro.
Una volta entrata nel corpo del “mostro”, la freccia non poteva essere estratta che dalla mano dell’uomo
.

Sulle coste della Calabria, alcune persone si arrampicavano sulle rocce e sugli scogli che costeggiavano la riva per avvistare il pesce e segnalarlo con urla e bandierine ai compagni sulle barche. Il lanciatore, in piedi sulla prua, con l’arma in mano, cercava di tenere l’animale sotto tiro. Quando era alla portata della lancia, aspettando il momento favorevole, lo infilzava e lasciava libera la corda. Il pesce spada ferito, perdendo le forze risaliva in superficie, i pescatori lo avvicinano con un gancio di ferro all’imbarcazione e lo portavano a riva.
La caccia al pesce spada attirava e affascinava studiosi e viaggiatori che annotavano in maniera dettagliata la tecniche per catturarli. Citiamo le descrizioni di Polibio, Grasser e Bartels.

Polibio

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Un antico mosaico sulla cattura del pesce spada

A questo proposito racconta Polibio il modo con che si pescano i pesci spada intorno al promontorio di Scilla. Posta in sito acconcio una barca, la quale serva come di spia, si cacciano in mare molti schifi a due remi, in ciascuno de’ quali sono due uomini, uno per governarlo co’ remi, e l’altro in prora armato di un’asta per ferire il pesce. Al segno che da l’esploratore, che viene il pesce spada, il quale suole con un terzo del corpo star sopra l’acqua, lo schifo gli si appressa, e quello che tiene l’asta, gliela caccia da vicino nel corpo, e subito ritirandola ne rimane la punta fitta nel pesce, perché sendo fatta a guisa di amo, è attaccata all’asta in maniera che facilmente si lascia nella ferita, lanciata che è.

A quel ferro è congiunta lunghissima cordicella, la quale tanto vanno allentando, ferito che è il pesce, fin a tanto che dibattendosi, sforzandosi di fuggire, si stanchi; allora lo tirano al lido, ovvero lo raccolgono nello schifo, se pure non è troppo pesante, e grande. Se avviene che l’asta cada in mare, non però si perde; perciocchè essendo fatta di quercia la tira bensì sott’acqua, ma fa insieme che dall’altro capo l’abete, come più leggero, s’innalzi, ed agevolmente si possa ripigliare. Avviene anche talvolta, che quello dei remi nello schifo sia ferito dalla grandezza della spada che ha il pesce, e dalla forza con cui la vibra, ond’è che questa pesca sia pericolosa non meno della caccia de’ cinghiali.

Jacob Grasser (1606)

Nei pressi del mare c’è un torrione o una guardiola, dove ad un uomo di vedetta vien dato l’incarico di segnalare l’arrivo dei pesci spada. Fa parte della natura di questi pesci tenersi con un terzo del corpo fuori dell’acqua. Quando ciò avviene, i pescatori si distribuiscono in tutta la zona con le loro imbarcazioni, in modo che in ogni singola imbarcazione si vengono a trovare due persone: una con due remi alla guida della barca, l’altra a prua con in mano una fiocina. Appena la vedetta indica il punto dove si trova il pesce, la barca vicina lo raggiunge a remi, mentre un pescatore veloce lo colpisce con la fiocina che viene subito tirata indietro per cui il ferro, che è provvisto di una punta ricurva a mo’ di amo, resta conficcata nel pesce e nella ferita.arpione-pesce-spada

Quest’uncino è fatto in modo che la punta ricada all’ingiù. Al ferro è fissata una corda di una certa lunghezza che permette al pesce, ancora convinto di poter sfuggire alla cattura, di voltolarsi e muoversi con una certa libertà sino a stancarsi. Quindi lo trascinano a riva o, se non è troppo grande, ché talvolta se ne trovano di una lunghezza superiore a dieci cubiti, lo tirano sulla barca […] Il pesce spada è così violento ed irruente che spesso con la lunga spada riesce a ferire il rematore. È per questo che la pesca è pericolosa come una caccia al cinghiale, ed è anche difficile pescarlo con le reti dal momento che con la spada riesce a strapparle. Appena lo si è pescato, lo si fa a pezzi e lo si mette sotto sale come un tonno. Dicono che la sua carne sia molto delicata ma un po’ difficile da digerire.

Johann Heinrich Bartels (1786)

Secondo il racconto di Strabone si utilizzavano due imbarcazioni, una delle quali provvista di un albero su cui sedeva un uomo che aveva il compito di avvistare il pesce. Una volta avvistato il pesce che spuntava con le pinne dalla superficie del mare, l’uomo allertava i suoi compagni indicando loro come raggiungerlo. Subito una seconda imbarcazione si metteva al suo inseguimento mentre un uomo con una fiocina in mano si portava d’un balzo sulla prua.pesce-2

Appena il pesce, che nel frattempo si era messo a giocare con l’ombra della barca, giungeva a tiro, l’uomo gli lanciava, ferendolo, la fiocina fissata ad un bastone legato a sua volta ad una corda. Nella fuga il pesce trascinava con sé la fiocina col bastone, e, quando le forze lo abbandonavano, veniva recuperato con la corsa e caricato sulla barca. Questa, all’incirca, la descrizione di Strabone; ed è questo anche il modo in cui si opera ancor oggi – con una piccola innovazione che rende più semplice l’operazione. Per attirare ed osservare il pesce, si manda avanti una feluca di una certa dimensione ad un albero, seguita da due piccole imbarcazioni. Appena si avvista il pesce, una di queste imbarcazioni viene mandata avanti con un piccolo equipaggio e un fiociniere. Lo strumento, una punta di ferro fissata ad un bastone, è rimasto immutato.spada-ponte

Mentre il pesce, ferito, fugge via, la corda fissata al bastone della fiocina viene allentata; e, appena ci si accorge che il pesce ha perso le forze, ecco sopraggiungere la seconda imbarcazione al seguito della feluca, la cosiddetta barca della morte, che insegue il pesce finché questo ce la fa a fuggire, e lo recupera appena muore. Questa pesca si pratica di norma nei mesi di giugno, luglio e agosto.

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