Duello tra boss: morte e sangue alle porte di Cosenza

Fu il primo grande scontro cruento della mala: 'u Penninu fece secco Baccu, suo ex fedelissimo che tentava di detronizzarlo. Da allora la storia criminale della città non sarebbe più stata la stessa

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Ancora non era mafia e non lo sarebbe diventata per un pezzo. Eppure i malavitosi di Cosenza odoravano già di leggenda. Va da sé, di leggenda nera. I loro nomi riempiono rapporti di Pubblica sicurezza, dominano le cronache (anche a dispetto delle censure del fascismo) e passano di bocca in bocca.
Parliamo, in questo caso, del mitico Luigi Pennino, detto ’u Penninu, attivo tra il Ventennio e gli anni ’60, e di altri personaggi, come ad esempio Francesco De Marco, detto ’u Baccu e Michele Montera.

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Piazza Riforma negli anni ’50: quartiere di nascita di Luigi Pennino, capo della malavita cosentina (foto L. Coscarella)

I tre facevano parte dello stesso gruppo e, in particolare, Baccu e Penninu erano legatissimi. Poi le cose cambiano. Montera si mette in proprio e fa concorrenza a Penninu, che entra ed esce di galera con accuse non leggerissime: lesioni e omicidio.
Ma anche Baccu si ribella a don Luigi. E la paga cara.

Una malavita “bastarda”

Nella prima metà del XX secolo a Cosenza c’è una malavita effervescente, che tuttavia non si può definire mafia. Il motivo è “sociologico”: i traffici della malavita di Cosenza si basano sulla prostituzione. E il lenocinio, secondo gli statuti dell’Onorata Società (il nome che allora la ’ndrangheta dava a sé stessa) è uno di quegli “strani mestieri che impediscono al delinquente di considerarsi uomo d’onore.
Una condizione che la mala bruzia si sarebbe trascinata fino agli anni ’70, quando la terza generazione di “guagliuni ’i malavita” (titolo dell’omonimo libro di Francesco Carravetta) avrebbe tentato il salto di qualità, in parte riuscendoci, sotto la guida di altri boss come Franco Pino, Antonio Sena, Franchino Perna e Luigi Pranno. Ai tempi di Penninu le cose erano diverse.

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Una storica immagine del quartiere dei Rivocati

Luigi Pennino: profilo di un boss

È doveroso premettere che non c’è alcun atto giudiziario definitivo che inchiodi Luigi Pennino al lenocinio. Inoltre: anche i boss non cosentini stimavano Pennino, che non consideravano un lenone. Tuttavia, ‘u Penninu resta la figura di spicco dell’ambiente cosentino, fatto di papponi, piccoli contrabbandieri ed estorsori. La sua leadership si basa su un misto di fascino personale (lo testimonia il suo successo con le donne), astuzia, coraggio e abilità con le armi.

Nasce nel ’900 alla Riforma, che allora non è una piazza ma una campagna ai confini della città che dà su altre campagne, che costituiscono un hinterland povero in mano a pochi ricchi.
Per qualche anno Pennino fa il fotografo ambulante. Ma il suo tenore di vita, testimoniato dall’abbigliamento elegante, è superiore alla sua professione e al suo ceto.
Come si procuri i soldi per vivere bene – e campare una bella moglie – non è del tutto un mistero per le forze dell’ordine. Già nel ’31 ’u Penninu finisce in galera con l’accusa, confermata in appello, di furto e associazione a delinquere. È solo l’esordio.

Il duello tra Pennino e Baccu avviene proprio nella discesa del Crocefisso alla Riforma

Un duello tra ex amici

Nel ’44 a Cosenza la guerra è finita. Ciò non vuol dire che in città regnino la pace e la sicurezza.
A differenza dei compari reggini e siciliani, i malavitosi cosentini non ricorrono alla lupara bianca ma si affrontano a viso aperto dove e come capita.
Così avviene in un tardo pomeriggio della primavera di quel dopoguerra, quando ’u Penninu e ’u Baccu discutono animosamente nella discesa del Crocefisso, che conduce alla Riforma.
De Marco, sodale di Pennino, è un bestione dalla forza erculea. E tenta di ribellarsi al capo, a dispetto del fatto che quest’ultimo sia stimato e temuto in tutta la città, perché gestisce il suo potere con garbo e con un senso personale di giustizia che lo hanno reso una specie di Robin Hood.
Come mai Baccu si è ribellato? Sulla rivolta del fedelissimo ci sono due versioni diverse, ma non necessariamente contrastanti.
La prima: sarebbe stato Michele Montera, altro ex sodale di Pennino, poi diventato capo di un gruppo rivale, a istigare De Marco. La seconda: De Marco, tra le varie, era invidioso del successo con le donne. Non è la prima volta che don Luigi subisce un tentativo di golpe. E non si fa trovare impreparato.

Pennino contro Palermo: la malavita di Cosenza

Torniamo indietro di quasi dieci anni, per la precisione al 2 aprile 1935. Pennino convoca i suoi per una partita a bocce.
Chi perde, dovrà pagare il vino per un altro gioco: Patrune e sutta.
Col boss ci sono Albino e Michele Montera, Giovanni Del Buono, Francesco Parise e tale Luigi Palermo, detto ’u Calavisi (che, stando alle carte, sarebbe solo omonimo del boss storico, detto ’u Zorru, che prenderà il posto di Palermo).

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Luigi Pennino, storico capo della malavita di Cosenza

La partita a bocce va benissimo. Decisamente meno quella a Patrune e sutta: Pennino si arrabbia coi suoi e li convoca fuori per chiarire. Prende sottobraccio Albino Montera e si dirige verso il gasometro.

Alle sue spalle c’è Palermo, che estrae un coltello e lo colpisce di striscio al collo e poi al petto. Il secondo colpo non va a bersaglio come si deve e il coltello buca solo la giacca del boss. Quest’ultimo reagisce e colpisce ’u Calavisi al fegato con una coltellata ben piazzata.
Palermo muore quattro giorni dopo e Pennino è condannato a quattro anni di carcere, perché la Corte d’Assise di Cosenza gli riconosce le attenuanti sull’imputazione di omicidio colposo.

La fine di Baccu

Lo stesso copione si ripete, più o meno, dieci anni dopo alla Riforma. Abituato a guardarsi le spalle, don Luigi si presenta armato come si deve.
Ha una Smith & Wesson a tamburo, con cui ha barattato la sua vecchia Beretta. De Marco spara per primo e colpisce Pennino alle gambe.
Il boss è più preciso e deciso, oltre che fortunato: mira al petto e spara tre volte. E tutt’e tre centra il bersaglio.
Stavolta la legittima difesa c’è tutta. Baccu termina la carriera e la vita. Penninu morirà trent’anni dopo e il suo feretro riceverà onorificenze degne di un leader.
Poi inizierà l’era di Luigi Palermo, ’u Zorru. Ma questa è davvero un’altra storia.

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