Orsomarso e i suoi segreti nel cuore della montagna

Grotte alte come un palazzo di 70 metri nel comune del Nord Calabria. Tra piccoli fiumi sotterranei e pareti dove serve essere un po' sub e un po' alpinisti. Nelle viscere dell'Appennino, a pochi chilometri dall'alto Tirreno cosentino

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A Orsomarso, meno di 1.200 anime nel nord della Calabria, il mare non c’è. Chi vuole goderselo va nelle vicinissime Santa Domenica Talao, Santa Maria del Cedro o Scalea. Ma, al riparo del turismo di massa, c’è un attrattore potenziale per un pubblico più specializzato ed esigente: la parte meridionale dell’Appennino Lucano, nota come Monti di Orsomarso, meno alti del Pollino, ma altrettanto massicci.

E poi ci sono i loro tesori nascosti, accessibili solo agli appassionati più spericolati e qualificati: gli speleologi. Parliamo di grotte che si aprono sulle pareti dell’Appennino e si inabissano a grande profondità. Una in particolare, che si affaccia sul Pianoro di Scarpuri, è una cosiddetta “risorgenza”, cioè una sorgiva montana da cui emerge un fiumicattolo sotterraneo. È profondissima, circa 70 metri. L’altezza di un edificio. E non è un caso che si chiami Risorgenza Palazzo.

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Esploratori in azione tra le viscere dei monti dell’Orsomarso

Un mistero a metà

L’esistenza di questa grotta, spettacolare non solo per le dimensioni, non era un segreto: non a caso è regolarmente censita da anni nei registri del catasto.
Quel che non si conosceva e che è emerso solo di recente è la dimensione enorme e, soprattutto, la disposizione particolare e articolata di questa cavità, che è un’opera sofisticata di architettura naturale, lavorata per millenni dai corsi d’acqua e tuttora di difficile accessibilità e in parte inesplorata.
La prima esplorazione seria risale al 2017 ed è opera di due gruppi di speleologi: Le forre del Tirreno, già protagonista di altre scoperte importanti, e Mercurion,
Ma com’è fatta questa grotta? E, soprattutto, quali sono i suoi misteri?

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L’ingresso del sifone sotterraneo

I segreti della montagna

L’ingresso è un triangolo piuttosto ampio nella parete della montagna, da cui sgorga un fiumiciattolo che finisce nella valle.
La cavità iniziale è piuttosto ampia, circa 100 metri, e si sviluppa in orizzontale. Alla fine di questo antro c’è una biforcazione particolare che obbliga gli esploratori a improvvisarsi, rispettivamente, alpinisti o sub.
Il primo percorso, sconsigliato a chi è sovrappeso o non ha capacità atletiche decorose, porta a una stanza superiore, raggiungibile con un’arrampicata su corda di 12 metri. La fatica vale la pena, perché il paesaggio è davvero spettacolare ed evoca immagini a metà tra il film horror e il Paradiso Perduto.

Speleologi si calano nel corridoio sotterraneo della grotta

I padroni di casa sono i pipistrelli, disturbati a malapena dai ragni delle grotte e da piccoli invertebrati, che si dividono un ecosistema costituito da un laghetto che genera piccole cascate. Il tutto in un tripudio di “concrezioni”, cioè di stalattiti, stalagmiti e vele, scolpite dal lavorio incessante dell’acqua sul calcare delle rocce. Proprio la presenza di pipistrelli, spiega Paolo Cunsolo, il presidente de Le forre del Tirreno, fa pensare all’esistenza di un secondo passaggio sulla parete della montagna, che gli speleologi stanno tuttora cercando. La vera sorpresa, tuttavia, è al piano più basso.

Un mondo a parte

«Qui c’è un mondo intero», ha esclamato Piero Greco, sub convertitosi alla speleologia e autore della scoperta, avvenuta a settembre 2017 nell’Appennino lucano che parla calabrese. Torniamo alla biforcazione del piano terra per capire meglio. Oltre che scalare con le corde, si può proseguire dritti, ma in questo caso la situazione si complica, perché la grotta termina in un sifone pieno d’acqua. Per esplorarlo, Greco ha dovuto indossare muta e bombole. Per fortuna, il condotto non è lunghissimo (circa 5 metri), tant’è che il resto del gruppo lo ha percorso in apnea.

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Piero Greco, sub convertitosi alla speleologia, si muove all’interno del sifone

La grotta nel cuore dell’Appennino lucano a cui si accede è l’elemento più spettacolare della struttura: 400 metri di superficie e di ampiezza ancora non calcolata, perché, spiega Cunsolo, «le torce riescono a malapena a illuminare parte della cavità».
In parte, ricorda la cavità superiore, solo che è tutto più ampio e non ci sono pipistrelli. E tutto lascia pensare che gli esploratori del 2017 siano i primi esseri umani che ci hanno messo piede. Ma c’è un’altra sorpresa, ancora tutta da scoprire.

Fango, acqua e freddo nelle grotte dell’Orsomarso

La terza grotta 

Anche questa seconda grotta termina con un sifone. Il che indica che le acque sotterranee hanno un percorso piuttosto lungo, caratterizzato da altre importanti cavità. Alla fine di questo sifone, racconta ancora Cunsolo, potrebbe esserci una terza grotta, forse grande come quella scoperta di recente nel Pollino. Ma raggiungerla può essere davvero difficile e più rischioso. E non è improbabile che l’impresa richieda l’impegno di speleologi subacquei. Una sfida importante per specialisti che non temono i pericoli ma li conoscono benissimo. Chi la raccoglierà?

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