Vestiti alla Oppenheimer, parola di colonnello Mortimer

Il punto di vista sartoriale mancava all'appello. Eccolo. Ma il biopic del momento firmato da Nolan è pure l'ennesima conferma di Cillian Murphy. Tra paure atomiche e caccia alle streghe. Una costante tutta americana

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Non troverebbe spazio sui Cahiers du cinema, ma poco importa. Mancava il punto di vista sartoriale per entrare nella galassia Oppenheimer, il film di Christopher Nolan sul padre dell’atomica americana. C’ha pensato Fabio Bernieri, divulgatore social di eleganza classica e buon gusto con il nome d’arte Douglas Mortimer, a uscire fuori dal coro quasi unanime sul biopic del momento. Analizza la pellicola sul suo canale YouTube con un piccolo viaggio fra tessuti pregiati, giacche mono e doppiopetto, camice con collo all’italiana, panciotti d’ogni forma e guisa, nodi e cravatte, scarpe raffinate. Del resto con uno pseudonimo così il cinema non può mancare a casa Bernieri. Il colonnello Mortimer è il bounty killer Lee Van Cleef nella trilogia del dollaro di Sergio Leone.

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Douglas Mortimer (nel riquadro in alto) analizza sul suo canale YouTube l’eleganza dei personaggi del film “Oppenheimer”

Ma non siamo in una pellicola del maestro italiano, se non fosse per certi primi piani, quasi primissimi. Nolan gioca sempre la carta del tempo sospeso, sfuggente, moltiplicato, dilatato. Dalle cavalcate nel New Mexico fino ai claustrofobici e inquisitori interrogatori. Paura dei comunisti? Sì, ancora oggi sopravvive, figuriamoci in quegli anni. Nemmeno uno scienziato come Robert Oppenheimer può farla franca. Quasi scontato quando hai un’amante, una moglie e un fratello con la tessera dal partito più inviso al potere e tu finanzi i repubblicani nella Guerra di Spagna. Per non parlare del sindacato. Peccati capitali per comuni mortali. Con una mente come la sua in pieno conflitto mondiale e con i razzi V2 pronti ad ospitare testate nucleri naziste, tutto viene perdonato (almeno fino alla resa inevitabile del Giappone). La Ragion di Stato lo porta dritto alla guida del Progetto Manhattan.

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“The gadget”, nome in codice del primo ordigno nucleare fatto esplodere a Los Alamos nel New Mexico

Il Gadget di Zio Sam

La corsa contro il tempo impiega soldi e menti brillanti. Alla fine The Gadget, questo il nome del primo ordigno nucleare fatto esplodere nel deserto, svolge egregiamente il suo compito. Un fungo di luce e miscela mortale entra a far parte del nostro immaginario collettivo. L’orologio dell’Apocalisse sempre più vicino alla mezzanotte ci avverte dell’attualità – a tratti persino ripetitiva e retorica – di un film del genere. Una guerra nel cuore dell’Europa con un potenza nucleare e muscolare non ci fa dormire sonni tranquilli. L’uscita nelle sale ha tenuto conto del contesto? Forse è una preoccupazione moltiplicata di più nel vecchio continente. Forse no.

Oppenheimer distruttore di mondi

I mondi di Oppenheimer invece sono dentro i suoi flussi di coscienza: atomi si muovono e scontrano prefigurando un futuro prossimo. Lo scienziato è un prometeo americano, come il titolo del libro, vincitore del Pulitzer, da cui è tratto il film. Scritto da Kai Bird e Martin J. Sherwin. La sceneggiatura appartiene allo stesso regista Christopher Nolan. Dialoghi impeccabili e ritmati. Oppenheimer, Oppie lo chiamano gli amici, è, invece, l’eterno dilemma tra scienza ed etica. Mettiamoci pure la politica. Una questione della tecnica riproposta ancora una volta sul grande schermo. Un brillante Cillian Murphy – chi lo ricorda nel Vento che accarezza l’erba di Ken Loach? – smette i panni di Tom Shelby dei Peaky Blinders e indossa quelli del «distruttore di mondi». Così recita quel testo sanscrito amato da Oppenheimer. The father of atomic Bomb, si legge sulla copertina del Time di quegli anni. Quando abbiamo capito di non poter più tornare indietro. Perché in qualche modo ci aspetta l’Armageddon dietro l’angolo o poco più avanti. A ricordarci che non possiamo sbagliare.

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