Come il grande occhio di Sauron monte Cocuzzo mi osserva mentre butto giù due righe sul libro che gli ha cucito addosso Mauro Francesco Minervino. Non posso sfuggirgli mentre leggo o scrivo seduto nel solito posto a casa dei miei genitori. Lo vediamo dall’entroterra, noialtri. Ci godiamo quei tramonti o quelle nuvole dense sulla cima nei giorni di pioggia. Dietro spunta il mare e noi possiamo solo immaginarlo.
Viaggio al monte analogo (Oligo editore 2023) è il libro di un antropologo diventato per 135 pagine cantore di un Appennino minore, costiero, a pochi metri dal Tirreno; a suo modo, senza troppe concessioni alle derive sentimentali ma molto attento alla geografia umana e personale di una arrampicata che sa di Nirvana. Cocuzzo per lui è una specie di ossessione come la Montagna Saint-Victoire per Cezanne.
Domani – venerdì 1 marzo – ne parliamo con lo stesso Mauro, Tonino Chiappetta e Francesco Naccarato davanti agli appassionati lettori di Camminando Amantea. Appuntamento nella cittadina tirrenica alle ore 19:00 ospiti della Cantina Amarcord.
Di Fellini, però, non c’è nulla nell’immaginario di questo Minervino. C’è tanto René Daumal, autore de Il Monte Analogo, romanzo incompiuto eppure così illuminante. Un gruppo di alpinisti raggiunge la vetta e scopre che il confine tra le cose in quota è solo qualcosa di superfluo, vuoto, inutile. Servono fiuto da segugio e passo da rabdomante per trovare quella sorgente in questo pezzo di Calabria. Mauro ci riesce, portandosi dietro quella specie di aura profetica. Come il Santo di Calabria, Lumen Calabriae, di casa tra queste alture. Un giornalista come Emiliano Morrone vede proprio in Mauro alcuni tratti laici di San Francesco di Paola, suo compaesano più illustre. A pensarci bene, non ha mica torto. Mancano i miracoli, però c’è ancora tempo.
Il tempo di quella cima ventosa cambia in fretta. Ti allontana e ti attrae. Sai che puoi trovarci uno stargate di Calabria. «La porta dell’invisibile deve essere visibile» ci ricorda Minervino citando proprio Daumal. Un gioco di rimpalli e capitomboli, di analogie.
È un posto magnetico dove sono passati mistici, monaci orientali, banditi. Ha affascinato scrittori e intellettuali. Gente come Gissing, altro nume tutelare del pantheon letterario di Mauro, ha annotato la bellezza tempestosa di quella cima. Punto di passaggio tra l’antica Pandosia, capitale degli Enotri, e il porto di Temesa, la polis immortalata nell’Odissea. Dalla cima il sole scompare morendo in mare come se non dovesse più rinascere. Un ultimo spettacolo d’Occidente, terra del tramonto prima dell’apocalisse. Al mattino, invece, nella forza accecante della controra i demoni si danno appuntamento. Per poi tornare a notte fonda nelle voglie animali degli antichi pastori dediti alla farchinoria. Monte Cocuzzo è un po’ così, contiene eccessi indicibili e improvvise oasi di pace.
Un luogo che genera storie. Mauro ricorda i suoi vecchi zii, analfabeti e grandi affabulatori, dediti al racconto di avventure terribili e affascinanti. Le gesta di Giufà. Il finto sciocco visionario e arguto che popola l’immaginario collettivo della cultura umana senza confini, ha accompagnato la sua infanzia. Si chiedeva da dove venisse questo strano Giufà. I vecchi rispondevano: dalla montagna. Indicando la cima di Cocuzzo.
Una vetta da raggiungere da più fronti. Mauro arriva dal basso, da Mendicino e da Carolei. Raggiunge i sentieri battuti da piccole carovane in un passato remoto. Si inerpicano per poi scendere in picchiata, passando tra villaggi abbandonati come Pantanolungo. Qualcuno ne collega la presenza alla morte. E il fiume Acheronte in basso è più di un semplice indizio. È un casale di poche anime. Mauro tira fuori una storia dalla polvere di quelle case abbandonate.
Dalla morte alla vita. Al pane come simbolo e materia che riannoda i pensieri: la pitta di Mendicino, il panificio di Fiumefreddo, quella vecchia signora con gli occhi di una zingara che impasta e inforna. Sono immagini potenti di un piccolo mondo antico e andato via per sempre. Ma in cima a quella montagna il mondo alla rovescia di Giufà può regalare ancora un altro colpo di spugna e giro di giostra.