Oggi è un semplice monumento, utilizzato dal Comune di Scalea per mostre, manifestazioni e gli immancabili presepi viventi. Eppure Torre Talao, l’antico bastione costiero costruito in chiave antiturca dal viceré Pedro Afan de Ribera d’Alcalà, su ordine di Carlo V, ha una storia strana, misteriosa e importante, almeno per certi ambienti.
Una storia ignorata da chi, invece, dovrebbe conoscerla per scelta “militante” (i tantissimi massoni di cui rigurgita la Calabria) o per semplice interesse culturale.
Questa storia è in parte calabrese, perché è calabrese lo scenario e sono calabresi alcuni dei protagonisti. Ma in parte è glocal, perché le vicende particolari della Torre si incrociano con alcuni passaggi delicati della storia non solo italiana della prima metà del ’900 fino all’avvento del fascismo.
Edificata su uno scoglio particolare, nel quale sfociano acque termali e in cui sono stati rinvenuti reperti preistorici, la Torre divenne un importante tempio esoterico a partire dal 1910, quando l’acquistò Amedeo Rocco Armentano.

Il mago calabrese
Come molti esoteristi dalla vita intensa e in parte avventurosa, Armentano ha scritto poco: di lui restano un corposo epistolario, alcuni articoli su riviste specializzate (ad esempio Ur, in cui firmava con l’acronimo Ara) e le Massime di Scienza Iniziatica, una specie di catechismo pitagorico riedito nel 2004. Roba da supernicchia, insomma.
Anche la sua biografia è piena di enigmi. Rampollo di una famiglia possidente e agiata originaria di Mormanno e poi trasferitasi a Scalea, Armentano fu un protagonista assoluto del filone più estremo della cultura esoterica italiana: il neopaganesimo, che nel suo caso si rifaceva alla scuola pitagorica.
Questo indirizzo dottrinario ebbe una certa circolazione sia nella massoneria, che era il principale veicolo di diffusione della cultura esoterica, sia fuori dal mondo dei “grembiuli”, in particolare in alcuni ambienti legati al fascismo delle origini.
Quelli come Armentano sognavano la restaurazione della romanità imperiale, in contrapposizione al cattolicesimo. Fin qui, nulla di nuovo per gli ambienti massonici italiani, che ereditavano l’anticlericalismo del Risorgimento.
Ma il vero elemento di rottura di questo esoterismo duro è la polemica, a tratti pesantissima, contro il cristianesimo, che invece la massoneria comunque rispettava (e rispetta): non a caso le logge di tutto il mondo aprono i loro “lavori” con la lettura dei versi iniziali del Vangelo secondo Giovanni e si richiamano comunque ai simboli cristiani. Esperto esoterista, Armentano voleva portare questa sua “rivoluzione” all’interno della massoneria ufficiale. Lo fece attraverso un massone di rango: Arturo Reghini.
L’esoterista col pallottoliere
Sul fiorentino Arturo Reghini valgono le parole di Natale Mario Di Luca, uno dei suoi biografi: fu una figura angelica.
Toscano ma non toscanaccio, Reghini si formò nelle avanguardie d’inizio ’900, particolarmente attive nei caffè e nei salotti della sua città. Giovane e brillante intellettuale, si laureò in matematica a Pisa nel 1912 e cercò da subito di conciliare il mondo dei numeri con quello esoterico. Per lui, l’incontro con il pitagorismo fu quasi obbligato. Ed ebbe un tramite: Amedeo Rocco Armentano, appunto.
I due si conobbero nel 1907 e la loro amicizia si sviluppò nel segno della complementarietà: Armentano iniziò Reghini ai segreti del pitagorismo e quest’ultimo fece entrare l’amico calabrese in massoneria. Per la precisione, nella loggia fiorentina “Lucifero”, di cui Reghini era uno dei fondatori e dei principali animatori.
A differenza del “mefistofelico” Armentano (a cui si attribuivano anche poteri paranormali), Reghini scrisse moltissimo e spaziò dall’alchimia alla matematica.
Al riguardo, resta importante, non solo in ambito esoterico, il grosso lavoro sviluppato dall’intellettuale toscano sulla matematica pitagorica, tutto realizzato solo con l’aiuto di un pallottoliere.

Il progetto dei due era ambiziosissimo: eliminare ogni riferimento alla tradizione giudaico-cristiana dai riti e dai simboli massonici e trasformare le logge in centri di propulsione del “nuovo” paganesimo. Non a caso, Reghini e Armentano furono in prima fila nel Rito Filosofico Italiano, una “catena” massonica ispirata proprio al paganesimo e al pitagorismo. In tutto questo, Torre Talao aveva un ruolo importantissimo: doveva servire da ritrovo per i pitagorici e da punto di irradiazione del loro pensiero.
La Torre dei misteri
Per un decennio buono, Torre Talao fu al centro di un viavai discreto ma non proprio invisibile di personalità a dir poco particolari, che si ritrovavano lì.
Tra gli habitué della Torre, c’erano senz’altro Reghini e l’esoterista romano Giulio Parise (famoso anche per essere stato il grande amore della scrittrice Sibilla Aleramo), ma anche alti gradi della massoneria internazionale.

Al riguardo, emergono due nomi significativi, l’anglobritannico Theodor Reuss, fondatore e gran maestro dell’Ordo Templi Orientis (in acronimo Oto, scheggia impazzita e scissionista della Gran Loggia Unita d’Inghilterra) e l’inglese Aleister Crowley, che tra l’altro ebbe rapporti con Reghini, anche lui iniziato nell’Oto. Inevitabile che questo andirivieni di personalità strane desse nell’occhio alle autorità, regie prima e fasciste poi. E difatti i guai arrivarono puntuali per Armentano.
Massone, mago e spia?
C’è un aspetto poco valutato della Grande Guerra: il combattimento sottomarino, a cui la Kriegsmarine germanica fece fare un grandissimo salto di qualità.
Le coste calabresi tirreniche, piene di relitti riscoperti di recente in occasione della vicenda delle navi dei veleni, ne offrono un esempio lampante e micidiale.
Torniamo alle vicende massoniche. Nel 1914 il Rito Massonico Italiano collassò per un vistoso ammanco di fondi, di cui fu responsabile Guido Bolaffi, avvocato romano e avversario di Armentano e Reghini, che lo misero alla porta senza troppi complimenti.

La vendetta di Bolaffi scattò durante la Guerra, a cui il calabrese e il toscano parteciparono come volontari, rispettivamente come sottotenente degli Alpini e tenente dell’Artiglieria.
Bolaffi accusò Armentano di essere una spia, proprio grazie ai suoi rapporti con gli esponenti tedeschi dell’Oto (che, a dirla tutta, pullulava di agenti segreti di tutte le nazionalità ed estrazioni) e di usare Torre Talao come “faro” e “pompa del carburante” per i sommergibili tedeschi, particolarmente scatenati nel Tirreno.
Per quanto bizzarra, l’accusa fu efficace, grazie anche al clima di paranoia collettiva esploso nel Paese dopo la disfatta di Caporetto: a febbraio 1918 la Torre fu perquisita da cima a fondo, a marzo Armentano – che si trovava in Calabria perché il suo reparto era stato smobilitato – fu arrestato e finì sotto inchiesta nel Tribunale militare di Monteleone (l’odierna Vibo Valentia). Vi restò fino al 18 luglio successivo, praticamente isolato e col rischio di finire al patibolo.
L’accusa cadde il 19 luglio, con una sentenza di non luogo a procedere per non aver commesso il fatto.
Fine della storia
Armentano e Reghini mollarono il Grande Oriente d’Italia per aderire alla Gran Loggia d’Italia, che offriva più garanzie, anche nei confronti del fascismo.
Infatti, a differenza del Goi, che pagò carissimo il proprio antifascismo, le logge di Piazza del Gesù erano filofasciste. Giusto per fare alcuni esempi, erano massoni di Piazza del Gesù due big del movimento mussoliniano: Italo Balbo e Michele Bianchi.
Tuttavia, la caccia al massone iniziata dal fascismo era nel pieno e nessuno poteva dirsi al sicuro. Certo, i “pagani” Reghini e Armentano non erano visti malissimo, dato che i loro richiami a Roma imperiale collimavano con un certo immaginario fascista. E non a caso Mussolini in persona protesse Reghini da alcune accuse mossegli dagli ambienti cattolici vicini al regime, che lavoravano per preparare il Concordato.
Ma il destino dell’esoterismo italiano era segnato: Armentano mollò l’Italia nel 1924 per trasferirsi a San Paolo del Brasile, dove avrebbe fatto fortuna nel commercio del caffè e dove sarebbe morto nel 1966. Reghini firmò l’autoscioglimento della Gran Loggia d’Italia (che, a differenza del Goi, fu soppressa in maniera soft) e si ritirò a vita privata a Budrio, dove insegnò matematica fino al 1946, quando morì di tumore.
E la Torre? Letteralmente abbandonata, fu saccheggiata e vandalizzata finché non passò al Comune di Scalea.
Il tratto di mare che la separava dalla costa non esiste più, perché nel frattempo si è interrato. Come i tanti misteri della Torre, che aspettano ancora di essere ricostruiti e raccontati a dovere.