Lombroso: il meridionalista che non t’aspetti

Scrisse nel 1862 la prima denuncia dei mali della Calabria, in netto anticipo rispetto ai classici sul Mezzogiorno. Eppure è passato alla storia come padre dei pregiudizi verso il Sud. Tutto per un equivoco duro a morire...

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È un pamphlet dal titolo secco ed evocativo, In Calabria, scritto da Cesare Lombroso nel 1897. Il libretto è stato riedito nel 2009 da Rubbettino e riproposto, in ristampa anastatica (cioè tal quale all’originale ottocentesco) da Local Genius alcuni mesi fa.
Come mai ancora tanto interesse per uno studioso superato, che, al massimo, può sollevare qualche curiosità come pioniere della criminologia e poco nulla più?
Soprattutto, come mai tanto interesse per Lombroso in Calabria e da parte di editori calabresi?

Il precursore del meridionalismo

La risposta è semplice ma non banale: In Calabria è l’edizione in libro del diario tenuto da Lombroso nel 1862, quando per alcuni mesi il papà dell’antropologia criminale visitò il Reggino.

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Cesare Lombroso nel suo studio in una stampa d’epoca

Il Lombroso dell’epoca è un medico di 28 anni specializzato in igiene e aggregato al Regio Esercito durante i primi anni di occupazione dell’ex Regno delle Due Sicilie. È inoltre un laico di orientamento socialista con una spiccata sensibilità sociale.
Prima di arrivare in Calabria, il giovane studioso si era occupato dellapellagra, che tormentava i contadini del Nord. Anche da noi si sofferma tantissimo sulle condizioni della popolazione. Con un risultato: anticipa di almeno dieci anni la questione meridionale.

Questione di date

Un problema dei meridionali è non saper dare un nome ai propri guai.
Infatti, l’espressione Questione Meridionale è stata coniata da Antonio Billia, giornalista e deputato lombardo, nel 1873.
Invece, il rapporto con cui Sidney Sonnino e Leopoldo Franchetti inaugurano il filone classico del meridionalismo risale al 1876.
Lombroso, che pubblica una prima versione dei suoi diari nel 1863 come reportage per Rivista Contemporanea, li precede di un bel po’: denuncia la pessima situazione degli strati bassi del Sud, l’abbandono dei territori e gli abusi delle classi dominanti.
Niente più e niente meno di quel che avrebbe fatto Gaetano Salvemini più di cinquant’anni dopo.

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Sidney Sonnino (a sinistra nella foto)

L’indice puntato

Il Lombroso del 1862 ancora non si occupa di criminali. Né coltiva pregiudizi contro i meridionali. Ma c’è da dire che neppure il Lombroso di dopo li avrebbe coltivati.
Allora, di cosa parla il celebre scienziato veronese nel suo pamphlet?
In pratica, denuncia l’arretratezza delle popolazioni, la forte disparità nella distribuzione delle ricchezze, la miseria e l’ignoranza diffusa. E dice e scrive tutto ciò che può scrivere un intellettuale progressista dell’epoca. Ma lo fa prima degli altri.
Tuttavia, in Lombroso l’antropologo convive col medico. Perciò una buona fetta del suo diario è dedicata all’elogio della creatività dei calabresi e delle loro culture particolari, in particolare quella grecanica e quella albanese.

Lombroso razzista?

Pazienza se, qui e lì, ci scappa qualche espressione oggi politicamente scorretta (la vecchia contrapposizione, per capirci, tra “africani”, “ariani” e “semiti”): era la cultura dell’epoca, diffusa tra tutti gli antropologi.
Ma una cosa è sicura: Lombroso (che tra l’altro era di origine ebrea) non è un razzista né, tantomeno, ha tentato di fornire basi scientifiche al pregiudizio antimeridionale.
Questo esisteva già. E, per quel che riguarda il razzismo scientifico, bisogna cercare altrove.

Ufficiali del Terzo Bersaglieri di stanza in Calabria nel 1

L’equivoco

Come ha chiarito l’antropologa Maria Teresa Milicia nel suo Lombroso e il brigante (Roma, Salerno 2014), il papà del razzismo antimeridionale con pretese scientifiche è il siciliano Alfredo Niceforo che, suggestionato dalla teoria lombrosiana, ne tenta una lettura in chiave “razziale”.
Per Lombroso gli uomini possono essere delinquenti per nascita, a prescindere dall’etnia di appartenenza. Niceforo va oltre: secondo lui ci sono popoli geneticamente delinquenti: gli italiani del Sud e i sardi, per esempio.

Un cranio made in Calabria per Lombroso

È noto che Lombroso elaborò la propria teoria dopo aver esaminato il cranio di un pastore calabrese: Giuseppe Villella, morto di malattia nel carcere di Pavia, dov’era recluso in seguito a una denuncia per furto.
Ma (e lo ha confermato anche un discendente di Villella), dalla calabresità di Villella non si può derivare in alcun modo l’equazione calabrese uguale ladro o assassino.
Villella, in altre parole, poteva essere anche nordamericano, slavo o cinese: ciò che secondo Lombroso lo rendeva delinquente era una piccola malformazione cranica (la fossetta occipitale mediana), non la “razza”.

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Il cranio di Giuseppe Villella

La teoria di Lombroso e la Calabria

L’uomo delinquente, uscito in più edizioni e ristampato nel 2013 da Bompiani, è l’opera più importante e più indigeribile di Lombroso: un mattone di 2.138 pagine, che diventano 4mila e rotte nell’edizione digitale. Il classico libro più citato che letto.
Eppure, a scavarvi un po’ dentro, ci si accorge che la Calabria non è in cima alle preoccupazioni criminologiche dello scienziato.
Al contrario: la parola Calabria appare solo 27 volte e mai per “inchiodare” il territorio a pregiudizi.

Prostitute, assassini e promiscui

Nelle pagine de L’uomo delinquente, c’è, ad esempio, la comparazione tra le caratteristiche anatomiche di una prostituta di Reggio Calabria con quelle di una collega di Milano (che risultano simili).
Oppure si scopre che il numero di infanticidi commessi in Calabria è uguale a quello del Piemonte.
Ancora: a proposito di omicidi, si scopre che i calabresi accoltellano di più e i piemontesi preferiscono l’avvelenamento. Poi c’è un dato curioso: Cosenza, secondo le ricerche di Lombroso, era in cima alla lista per i comportamenti illeciti a sfondo sessuale, inclusa la prostituzione.
In tutto questo, il pregiudizio antimeridionale dov’è?

Il Museo Lombroso di Torino

Niceforo, un allievo imbarazzante

Lombroso ripubblica nel 1897 il suo diario militare giovanile con l’aiuto di Giuseppe Pelaggi, un medico di Strongoli.
Il perché di questa tardiva operazione editoriale è chiaro: Lombroso, preso di mira dai meridionalisti, deve un po’ sbarazzarsi dell’ingombrante paragone con Niceforo, che a fine Ottocento impazza col suo La delinquenza in Sardegna.
Ed ecco che il professore di Torino riscopre il suo passato di meridionalista, tra l’altro mai rinnegato né sconfessato dalla sua produzione matura.

Il pregiudizio antilombrosiano

Semmai, il pregiudizio vero resta quello contro Lombroso, riesploso all’inizio del decennio scorso, in seguito all’apertura di un Museo a lui dedicato presso l’Università di Torino.
Sull’argomento è tornato di recente Dino Messina. La firma storica del Corriere ripercorre, nel suo La storia cancellata degli italiani (Solferino, Milano 2012), la vicenda un po’ comica di alcuni gruppi di revisionisti “antirisorgimentali” che hanno tentato di far chiudere il Museo.
Ma tant’è: ognuno ha la sua cancel culture. Chi ha subito il colonialismo prende di mira la cultura occidentale. Chi, invece, è stato vittima della propria arretratezza, parla a vanvera. A ciascuno il suo.

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