Inferiorità meridionale? Alcune tesi non scompaiono mai del tutto. Tra queste, l’idea secondo la quale il ritardo del Mezzogiorno non dipenda solo da cause oggettive, economiche o politiche, ma sia, in ultima analisi, da ricercare nei meridionali stessi.
Con l’Unità d’Italia, in molti scritti e discorsi, la diversità tra Nord e Sud venne rappresentata come contrapposizione tra civiltà e barbarie, tra Italia e Africa.
Alla fine dell’Ottocento, in un tempo di “superstizione della scienza” – come scrisse Gramsci – l’opinione già diffusa dell’inferiorità meridionale assunse la forza di “verità scientifica”.
A questo argomento, tra l’altro, chi scrive ha dedicato un capitolo de Il Paese diviso. Nord e Sud nella storia d’Italia (Rubbettino, Soveria Mannelli 2019).
Due Italie, due razze
Il criminologo Cesare Lombroso, e ancor più nettamente gli antropologi Giuseppe Sergi e Alfredo Niceforo, entrambi siciliani, argomentarono che in Italia vi fossero due “stirpi” o “razze” e che quella che popolava il Sud avesse origine africana (si escludevano i greci). Essendo di origine africana, la razza meridionale era «refrattaria, cioè inerte, davanti ai nuovi portati della civiltà» e meno adatta di quella nordica al progresso sociale e culturale.
L’inferiorità meridionale secondo Richard Lynn
Quest’idea, mai del tutto abbandonata, riemerge ancora. Fece scalpore e scandalizzò, la tesi di Richard Lynn, psicologo recentemente scomparso. Lynn nel 2010, in un articolo sulla rivista Intelligence, sostenne che i divari socioeconomici tra Nord e Sud dipendano da differenze nel Quoziente d’intelligenza (QI). Secondo Lynn, il QI medio dei meridionali sarebbe di circa 10 punti inferiore a quello dei settentrionali a causa dell’eredità genetica dei fenici e degli arabi che, in epoche diverse, si insediarono in parte del meridione.
La tesi di Lynn, condivisa da altri studiosi, presuppone l’esistenza di razze umane differenti per alcune caratteristiche fisiche e sotto il profilo cognitivo. Sulla base dei risultati dei test sul QI e di quelli scolastici, Lynn ha stilato una graduatoria internazionale dell’intelligenza. Ai primi posti, col QI più alto, gli asiatici dell’est (giapponesi, coreani, cinesi), seguiti dalle popolazioni europee o di origine europea; al fondo della graduatoria, le popolazioni dell’Africa Subsahariana e gli aborigeni australiani.
I terroni? Sono sempre i più stupidi
All’articolo di Lynn ne sono seguiti diversi altri. Tra i più recenti, quello di Emil Ole William Kirkegaard e di Davide Piffer. I due studiosi hanno sostenuto nel 2022 che le differenze nell’intelligenza media tra Nord e Sud Italia siano rimaste sostanzialmente stabili sin dall’Unità.
Per dimostrarlo, i due ricercatori hanno utilizzato dati ottocenteschi sul cosiddetto age-heaping, cioè l’arrotondamento dell’età che, secondo alcuni, misurerebbe l’incapacità della popolazione a far di conto.
Hanno mostrato, poi, come i dati dell’Ottocento siano in relazione con i risultati attuali nei test scolastici Invalsi e con gli indicatori di sviluppo socioeconomico delle regioni italiane.
Nello stesso numero della rivista che contiene l’articolo di Kirkegaard e Piffer (Mankind Quarterly) ce n’è un altro di Richard Lynn, in cui si riportano i risultati dei test su un campione di bambini siciliani di 6-11 anni che, secondo la rilevazione, avrebbero un QI medio di 92 punti, inferiore a quello disponibile per alcune città o regioni del Nord Italia.
Anche la Spagna ha i suoi terroni
Questi studi non riguardano solo l’Italia, ma anche altri paesi. Ad esempio la Spagna, dove esistono divari regionali nei livelli di sviluppo e nei risultati scolastici. Alla loro base vi è la tesi secondo la quale la causa ultima delle differenze internazionali nello sviluppo socioeconomico sia da ricercare nella genetica, nell’intelligenza delle popolazioni. In altre parole, la natura umana è all’origine delle disuguaglianze.
Inferiorità meridionale? Solo un fatto economico
Questa tesi è fortemente contestata. Per quanto riguarda l’Italia sappiamo che, effettivamente, ci sono ampie differenze regionali nei risultati dei test scolastici, come conferma anche l’ultimo rapporto Invalsi 2023. Tuttavia, dimostrano molte ricerche, i divari regionali nei test scolastici sono, in larga misura, spiegati da fattori culturali, sociali ed economici e, probabilmente, in parte anche dalla qualità media dell’istruzione.
Differenze regionali nei test sul QI e in quelli scolastici sono documentate in molti Paesi, per esempio in Germania, Portogallo, Regno Unito e Spagna. In tutti i casi, i punteggi nei test risultano più elevati dove maggiori sono i livelli di sviluppo. Il legame tra QI e sviluppo socioeconomico è molto forte.
L’effetto Flynn
Questo legame è così forte che i risultati medi nei test d’intelligenza tendono ad aumentare col progresso socioeconomico. È un fenomeno affascinante e incoraggiante, noto come “effetto Flynn”, osservato in molte nazioni.
Alle tesi richiamate si possono opporre molte obiezioni. La più ovvia è che, a oggi, non esistono prove scientifiche di differenze razziali nel QI. Inoltre, lo stesso concetto di “razza” applicato agli uomini è discutibile. Di conseguenza, non esiste alcuna prova che l’influenza genetica africana, nei meridionali come in altre popolazioni, possa avere una qualche influenza negativa sulle capacità cognitive. Quello che, invece, sappiamo con certezza è che tra Nord e Sud Italia esistono radicati divari sociali ed economici. Sotto questo aspetto, non certo per quanto riguarda il QI, l’Italia è un paese con profonde differenze.
Vittorio Daniele
professore ordinario di Politica economica
Università Magna Graecia