Oscar: statuette e nominations di Calabria nella notte delle stelle di Hollywood

Il primo italiano a vincere il premio più famoso del cinema a Los Angeles? Era di Cosenza. Ma sono tanti i calabresi - di nascita, origine o adozione - ad averlo conquistato o sfiorato agli Academy Awards

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C’è stato un periodo, a cavallo tra 2010 e 2011, in cui era impossibile sfogliare un giornale o navigare un sito della Calabria senza beccare qualche celebrazione di Mauro Fiore, fino a quel momento ignoto ai più, balzato agli onori per aver vinto ad Hollywood il premio Oscar per la migliore fotografia in Avatar.

Il film di James Cameron, c’è da dire, aveva fatto incetta di statuette (tre) e di nomination (nove). Ma per l’orgoglio calabro, l’Academy Award a Fiore bastava e avanzava: era la prosecuzione del sogno americano, vissuto quasi fuori tempo massimo.

Fiore, infatti, aveva lasciato la sua Marzi (oggi poco meno di mille anime nel cuore del Savuto) nei primi anni ’70 e aveva fatto carriera a Hollywood in qualità di tecnico all’ombra di grandissimi come Steven Spielberg.

Mentre la Calabria lo celebrava alla grande, girava qualche commento pieno d’ironia amara: se Fiore fosse rimasto qui, al massimo avrebbe potuto fotografare matrimoni. Ma poco importava: Fiore era diventato Lu Ziu ’i Lamerica.

Se l’Oscar parla arbëreshë

Il cinema è stato, in ordine cronologico, l’ultimo ascensore sociale per i migranti italiani in cerca di fortuna negli Usa. Di sicuro la scorciatoia più vistosa per il successo. I calabresi, va da sé, non potevano fare eccezione, minoranze linguistiche incluse.

È il caso del musicista arbëresh Salvatore Antonio Guaragna, cioè il mitico Harry Warren, che ottenne tre Oscar (per la precisione, nel ’35, nel ’43 e nel’45) più altre otto nominations per la migliore colonna sonora.

Il minimo, per un autore seriale come lui, che scrisse circa ottocento brani. Giusto per curiosità, le sue canzoni più famose furono quelle che non vinsero. Cioè Chattanooga Choo Choo (nomination nel ’41, che divenne la colonna sonora delle truppe Usa in Italia) e la mitica That’s Amore, l’inno della Little Italy. Tanto successo, ottenuto fuori dalla Calabria, è all’origine di una disputa sulle radici di Warren tra Cassano Jonio e Civita.

 

Da Corso Telesio a Hollywood

Più certe le radici di Antonio Gaudio, che nacque a Cosenza, dove il padre Raffaele faceva il fotografo a via Sertorio Quattromani e Corso Telesio. Emigrato oltreoceano con suo fratello Eugenio, sfondò in America come direttore della fotografia e regista. Anche per lui l’americanizzazione del nome fu obbligatoria, ma non fu totale: divenne Tony Gaudio ed Eugenio si trasformò in Eugene.

 

Con questo nick si aggiudicò nel 1937 la statuetta per la migliore fotografia nel film Avorio Nero, una delle sei pellicole a cui il Nostro lavorò quell’anno. Il suo, visto che Guaragna era nato a Brooklyn, è il primo Oscar tutto italiano della storia. Ma la statuetta, alla morte di Gaudio, è andata perduta, una storia che diventerà presto un documentario.

L’ultimo Ziu

L’ultimo Ziu ’i Lamerica, in ordine cronologico, è Nick Vallelonga, tuttofare del cinema a stelle e strisce discendente da emigrati del Vibonese. Vallelonga, che ha esordito con una particina ne Il Padrino, ha ottenuto nel 2019 l’Oscar per la migliore sceneggiatura originale per Green Book, pellicola dedicata al grande jazzista Don Shirley.

C’è da dire che questo premio non è stato proprio al riparo delle polemiche. In particolare, quelle della famiglia di Shirley, che avrebbe accusato Vallelonga di aver lavorato un po’ troppo di fantasia. Ma non importa: a lui la Calabria, generosa nel riconoscere il successo dei suoi migranti, ha tributato la solita sfilza di onori alla ’nduja al corpulento Oscar.

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Nick Vallelonga

Nonni… e un cugino da Oscar

Più magra (e carina), Marisa Tomei ha in comune con Vallelonga il fatto di avere qualche nonno calabrese. Per la Tomei, che proviene dalla middle class newyorchese, le difficoltà dei migranti forse non sono neppure un ricordo. Protagonista di una carriera lineare tra grande e piccolo schermo, la Nostra ha ottenuto l’Oscar come migliore attrice non protagonista in Mio cugino Vincenzo (1993), una statuetta su cui si è malignato per anni. L’attrice ha poi confermato il suo talento con altre due nominations per In the Bedroom (2002) e The Wrestler (2009).

Decisamente più famoso (e magro), F. Murray Abraham vanta due nonni reggini, per la precisione di Staiti e Condofuri. È diventato celebre per aver interpretato Salieri, il cattivo di Amadeus, che gli valse l’Oscar come miglior attore protagonista (1984).

Sempre per restare ai nonni, le radici calabre emergono anche per Stanley Tucci, vincitore della statuetta come miglior attore non protagonista nell’horror Amabili Resti (2009).
Protagonista di una carriera densa tra cinema, televisione e teatro, Tucci discende da Stanislao Tucci, emigrato da Marzi, lo stesso paese di Mauro Fiore. Segno che il pane del Savuto porta bene. Meglio ancora se accompagnato con la ’nduja del Vibonese. Non a caso, la nonna di Tucci era originaria di Serra San Bruno.

 

Los Angeles? Cosangeles

Nel toto Oscar di Calabria non poteva mancare la Sila cosentina, rappresentata da Anastasia Masaro, scenografa canadese che ha ottenuto la nomination nel 2009 per il fantasy Parnassus – L’uomo che voleva ingannare il diavolo di Terry Gilliam: sua madre è originaria di Celico.
Dalla Sila all’hinterland del capoluogo ci sono circa 20 km, meno comunque di quelli che separano la Masaro dallo statunitense Albert Broccoli, Premio Oscar speciale per aver prodotto il mitico James Bond. La famiglia di Broccoli ha le radici a Carolei.
A Cosenza è nato nel 1982 anche Alfonso Sicilia, membro del team premiato con l’Oscar per gli effetti speciali nel 2014 per Gravity. Lui vive da anni all’estero, ma suo padre lavora ancora a San Pietro in Guarano, pochi km dalla città dei bruzi.

 

Catanzaro (quasi) da Academy Awards

Credevate che la provincia del capoluogo fosse priva di glorie? Sbagliate di grosso. Originario di Girifalco è Mark Ruffalo, volto più che noto del cinema che ha ottenuto tre nominations come miglior attore non protagonista, rispettivamente per The Kids are all right (2009), Foxcatcher (2015) e Il caso Spotlight (2016). Siamo sicuri che, prima o poi, la mitica Statuetta d’oro la becca, visto che lavora tantissimo. Nel frattempo, si consola coi risultati al botteghino.

Lo scrittore Nicholas Pileggi, nomination assieme a Martin Scorsese per la miglior sceneggiatura non originale in Quei bravi ragazzi (1991) ha radici a Maida, segno che il morseddu lega bene con la celluloide.
Più noto al pubblico italiano come erede del cinema impegnato degli anni ’70, Gianni Amelio, nativo di Magisano, ha ricevuto nel 1991 la nomination per il miglior film straniero grazie al suo Porte Aperte, ispirato all’omonimo romanzo del grande Leonardo Sciascia.

Reggio Calabria, Hollywood e gli Oscar

Una volta tanto, la musica non è sinonimo di tarantella. Il compositore John Corigliano, figlio di John Paul, primo violino della New York Philarmonic, ha radici ben piantate a Villa San Giovanni. Ha vinto, oltre a un Pulitzer e tre Grammy, l’Oscar per Violino Rosso (1999).

Inoltre, le foto dei reggini possono non essere così “solari”. È il caso di Nicholas Musuraca, che lasciò Riace nel lontano 1907 e fece carriera nella Rko. Ottenne una nomination per la migliore fotografia nel film Mamma ti ricordo, un melò di George Stevens (1948). Ma, a prescindere dagli Oscar, il suo nome resta legato a capolavori del noir o dell’horror come Il bacio della pantera e Le catene della colpa di Jacques Tourneur, La scala a chiocciola di Robert Siodmak o Gardenia Blu di Fritz Lang.

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Francesca Lo Schiavo e Dante Ferretti ricevono l’Oscar per Sweeney Todd nel 2008

Nata a Roma, ma originaria di Taurianova, la scenografa Francesca Lo Schiavo ha ottenuto sei nominations e tre Oscar. Precisamente per The Aviator di Martin Scorsese (2005), Sweeney Todd di Tim Burton (2008), Hugo Cabret, sempre di Scorsese (2012).

Menzioni d’onore

Non era calabrese, ma ha sposato una calabrese e, soprattutto, ha amato la Calabria, in particolare Lamezia Terme, dove ha trascorso gli ultimi dieci anni di vita.
Parliamo del grande Carlo Rambaldi, il mitico effettista del cinema mondiale. Suoi, gli effettacci grandguignoleschi di Profondo Rosso, il capolavoro di Dario Argento. Sue le efferatezze iperrealistiche del giallo all’italiana, in particolare dei film di Lucio Fulci. Suo il sangue che schizzava a profusione nei western di Sergio Leone e nei primi due Padrini di Francis Ford Coppola.

 

Vinse tre Oscar per i migliori effetti speciali grazie a King Kong di John Guillermin (1976), ad Alien di Ridley Scott (1979), per il quale collaborò con l’artista svizzero Hans Ruedi Giger, ed E.T., di Steven Spielberg (1982).

Sfiorarono la nomination per la colonna sonora di Dune di David Lynch (1984) i Toto e Brian Eno. Eno con la Calabria non c’entra. Invece, c’entrano tantissimo i Toto perché i tre fondatori, i fratelli Jeff, Steve e Mike Porcaro, sono i nipoti di Giuseppe Porcaro, percussionista originario di San Luca d’Aspromonte.

 

Per sperare

In attesa di un Oscar a un calabrese che vive in Calabria per un film realizzato in Calabria, c’è di che soddisfare il campanilismo di una regione in cui solo migrando si ha il successo vero. Per gli attuali cinematografari di successo, ogni ritorno in patria è occasione di celebrazioni e retorica a più non posso.
Chissà che qualcuno si ricordi di loro quando c’è da spendere qualcosa per celebrare il Sud profondo. Magari costerebbero meno dei vari Muccino e solleverebbero meno polemiche…

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