Fausto Gullo, a buon diritto annoverato tra i compianti “politici-di-una-volta”, nel 1944 era tra i sostenitori della svolta di Salerno. Aveva aderito alla linea del suo leader, Palmiro Togliatti, ed era poi entrato nel secondo governo Badoglio come ministro dell’Agricoltura, carica mantenuta anche nei successivi. Con il De Gasperi II, cioè il primo governo repubblicano, il comunista Gullo è invece passato al Ministero di Grazia e Giustizia. La Dc aveva spinto affinché lasciasse il posto ad Antonio Segni, futuro capo dello Stato su cui, in quel frangente, i conservatori puntavano per frenare l’approccio che il cosentino (ma nato a Catanzaro) passato alla storia come “il ministro dei contadini” aveva impresso al settore agrario.
Sergio Rizzo e lo scontro tra Gullo e Pilotti
Tra l’esordio di Gullo nel governo di unità nazionale e la sua nomina a Guardasigilli sono passati appena due anni. Ma, si sa, a precedere l’alba della Repubblica era stata una notte lunga e tempestosa. Che aveva reso quei tempi forieri di straordinarie mutazioni istituzionali e politiche. È in questa fase che un interessante libro appena uscito colloca una vicenda cruciale nella storia della magistratura italiana: il caso Pilotti, assurto a simbolo dell’eterno dibattito sull’indipendenza del potere giudiziario da quello politico.
Il libro si chiama Potere assoluto – I cento magistrati che comandano in Italia (Solferino) ed è l’ultima fatica di Sergio Rizzo, già firma del Corriere della Sera, oggi vicedirettore di Repubblica e autore di bestseller come La casta, scritto con Gian Antonio Stella nel 2007. Il caso in questione, illuminante rispetto alle odierne questioni che (referendum e anniversari di Tangentopoli compresi) investono il sistema Giustizia, riguarda la carriera di Massimo Pilotti, uno che era già magistrato a 22 anni (nel 1901) e che nel 1933 ottiene la nomina a segretario generale aggiunto della Società delle Nazioni.
Pilotti l’epuratore
Un giurista di fama internazionale, insomma, che dopo l’invasione della Jugoslavia fu anche presidente della Corte suprema di Lubiana. E una volta rientrato in Italia diventa procuratore generale della Cassazione (1944). Il governo Bonomi lo mise pure a presiedere le commissioni di epurazione del ministero degli Esteri, del Consiglio di Stato, della Corte dei conti e dell’Avvocatura dello Stato. Incarico, quest’ultimo, da cui si dimise dopo che la stampa lo accusò di aver tramato con i funzionari sottoposti a epurazione per ridimensionare le accuse a loro carico. Il governo Parri lo confermò, nonostante la contrarietà di Togliatti (all’epoca ministro della Giustizia), negli altri ruoli.
Schiaffo alla Repubblica
Il vero scandalo però viene fuori quando il Guardasigilli è Gullo. È in corso l’inaugurazione dell’anno giudiziario del 1947, sono trascorsi appena 6 mesi dal referendum del 2 giugno. In platea per l’occasione siede il primo presidente della neonata Repubblica, Enrico De Nicola. «Il procuratore generale della Cassazione – ricostruisce Rizzo – prende la parola, e nel discorso che apre l’anno giudiziario non gli rivolge il saluto istituzionale. Fatto che già sarebbe grave. Ma Pilotti ignora perfino la nascita della Repubblica». Gravissimo. Si dice che Pilotti sia monarchico, una sorta di Quinta colonna dei fedeli al re nella magistratura, che avrebbe anche spinto sul riconteggio dei voti – in quei giorni non mancano gli scontri di piazza – per mettersi di traverso rispetto alla proclamazione della Repubblica.
Un Gullo diverso
Il nuovo ministro ha bene in mente il giudizio sprezzante del suo predecessore nei confronti di Pilotti, che Togliatti definì l’uomo «di fiducia del Governo fascista al momento della conquista dell’Etiopia». Così lo sgarbo a De Nicola diventa un’occasione per fare le scarpe all’alto magistrato. Gullo è certamente un uomo diverso rispetto agli anni della clandestinità, quando da giovane politico-avvocato, nonché fondatore di giornali come Calabria proletaria e L’Operaio, veniva schedato, sorvegliato, arrestato e mandato al confino in Sardegna. Non è nemmeno più lo stesso a cui nel novembre del 1943, dopo la rivolta cosentina contro la permanenza in cariche istituzionali di persone coinvolte con il Fascismo, veniva preferito Pietro Mancini come prefetto.
Soprattutto, Gullo non è più quello della svolta di Salerno, in nome della quale i partiti antifascisti avevano accantonato la questione monarchica per favorire l’unità nazionale. Ora i conti si possono regolare. Così il Guardasigilli scrive al Consiglio superiore della magistratura, all’epoca dipendente dal suo Ministero, annunciando l’intenzione di rimuovere Pilotti. L’epuratore, dunque, sta per essere epurato. Prova a difendersi, ma Gullo è irremovibile: Pilotti perde il posto da pg. Ma uno così non non finisce certo in rovina. Lo piazzano alla Presidenza del Tribunale delle Acque e per l’occasione elevano la carica a pari grado di procuratore generale.
Giustizia e politica: due scuole di pensiero
Anche la pensione non gli va malaccio: da collocato a riposo, nel 1949 Pilotti diventa arbitro italiano alla Corte permanente di arbitrato dell’Aja e, nel 1952, presidente della Corte di giustizia della Comunità europea del carbone e dell’acciaio. Nel togliere a Pilotti la poltrona di pg, secondo Rizzo, Gullo avrebbe incontrato ben altre resistenze se la vicenda non si fosse incrociata con quella dell’Assemblea costituente. Che proprio nei giorni dello sgarbo a De Nicola discute degli articoli sul rapporto tra giustizia e politica.
Si scontrano due scuole di pensiero. Da una parte quella che rappresenta anche il futuro presidente della Repubblica Giovanni Leone: propone che i pm dipendano dal governo e che a guidare il Csm sia il capo dello Stato. Dall’altra chi sostiene l’indipendenza assoluta dei magistrati dal potere politico.
Le parole di Calamandrei sullo scontro tra Gullo e Pilotti
Tra questi c’è Piero Calamandrei. Ma, dopo il caso Pilotti, la sua linea perde consistenza e nell’Assemblea si finisce per mediare tra le due posizioni. «In realtà chi ha impedito all’autogoverno della magistratura di affermarsi in pieno nel nostro progetto – attacca Calamandrei alla Costituente – non sono stati tanto gli argomenti dei colleghi sostenitori della opinione contraria, quanto è stato Sua Eccellenza il procuratore generale Pilotti».
Lo sgarbo, secondo Calamandrei, l’alto magistrato lo ha fatto «non al presidente della Repubblica, ma proprio alla magistratura: e la magistratura deve ringraziar proprio lui, il procuratore generale Pilotti, della ostilità con cui è stata accolta nel progetto della Costituzione l’idea dell’autogoverno: proprio lui, col suo gesto, è riuscito a impedire che la magistratura possa aver fin da ora quella assoluta indipendenza di cui la grandissima maggioranza dei magistrati, esclusi alcuni pochi Pilotti, sono degni». Qualche giorno dopo il discorso di Calamandrei, Gullo rimuove Pilotti. E, secondo Rizzo, l’idea «dell’indipendenza cristallina della magistratura tramonta con la sua defenestrazione».