Ferramonti, la storia dei libri in internamento

Il campo di Tarsia fu anche crocevia di cultura. Tra i suoi prigionieri, cinque personaggi di culto per i bibliofili: dal "Picasso degli ex libris" allo psicanalista di Fellini. Fino a un libraio che a Cosenza fu protagonista di una piccola rivoluzione per l'editoria italiana

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Un campo di internamento può diventare, oltre a un luogo dell’abominio, anche un casuale crocevia di cultura. Quello di Ferramonti di Tarsia è stato, almeno in parte, anche un luogo di questo tipo.
C’è un filo che insospettatamente lega la Calabria a Theodor Mommsen e persino alla storia dell’editoria anastatica e del collezionismo.
Già noto per esser stato un campo sui generis, ricordato soprattutto per la provvidenziale forma di solidarietà che si venne a creare tra i prigionieri, i civili e le autorità locali, Ferramonti fu occasione di prigionia condivisa per almeno quattro particolarissime personalità della cultura, note e meno note. Quattro uomini che la storia ha condotto dapprima nel lager, poi a riemergere in maniera singolare: Ernst Bernhard, Gustav Brenner, Michel Fingesten e Werner Prager. Vi si aggiunge la figura di Israel Kalk, il quale pure varcò le soglie del campo, benché non da prigioniero.

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Internati a Ferramonti

E c’è intanto una piccola storia conosciuta a pochi, più che altro nel giro dei bibliofili più consumati: Oliviero Diliberto, che appartiene a questo novero, l’ha scoperchiata, ricostruita e divulgata con passione nel suo La biblioteca stregata (Roma, 2003). È, appunto, la storia tormentata della biblioteca privata di Theodor Mommsen, un corpus librario scampato parzialmente a due incendi, poi a divisioni ereditarie, ancora parzialmente a donazioni, a dismissioni da parte di biblioteche pubbliche (scarsamente accorte di fronte alla presenza degli ex libris mommseniani su alcuni doppioni), a trasferimenti transoceanici e, infine, alla vendita incontrollata sulle bancarelle. Uno degli ultimi luoghi di passaggio di alcuni volumi provenienti dalla biblioteca Mommsen fu una libreria antiquaria romana, dalla quale questi riemersero dopo le interminabili peripezie: la libreria Prager.

Werner Prager, da Amsterdam a Ferramonti

prager-ferramontiWerner Prager, protagonista – forse inconsapevole – di questa storia libresca, nacque nel 1888 a Berlino, dal libraio Robert Ludwig (1844-1914) la cui bottega aprì nel 1872. Assieme alla moglie Gertrud, continuò a gestire la società R. L. Prager e, pensando poi di scampare ai provvedimenti antisemiti, trasferì ingenuamente l’attività da Amsterdam a Roma nel 1937, ovvero solo un anno prima della promulgazione delle leggi razziali che intanto gli impedirono il commercio librario, e in secondo luogo lo costrinsero alla prigionia a Ferramonti.

Dopo la liberazione, Prager riaprì la sua libreria, che chiuse poi i battenti nell’anno della sua morte, 1966. Possiamo immaginare conversazioni dotte, a rinfrancare parzialmente la prigionia, tra Prager e i prossimi personaggi che ci vengono incontro. Perché intanto c’è un altro libraio eccellente nella storia di Ferramonti, un uomo che come Prager ha fatto riemergere libri dall’oblio: Gustav Brenner.

Gustavo Brenner, da Ferramonti alla Casa del libro

Brenner, ebreo austriaco, è forse una delle figure più dimenticate della storia dell’editoria italiana. E, al tempo stesso, una delle poche davvero ascrivibili a un’intellettualità autentica, almeno nel panorama culturale della Calabria che lo accolse. La sua storia si lega prima al commercio librario, poi all’esperienza dell’internamento, e poi all’editoria tout court. Gustav Brenner nacque a Vienna nel 1915 da Joseph, libraio in Praterstrasse, e intraprese il mestiere paterno fin quando non lo arrestarono per condurlo dapprima a Buchenwald e poi a Dachau.

Fuggito, maturò in lui l’idea di rifugiarsi a Trieste e poi a Milano. Proprio qui, mentre lavorava presso una casa editrice, lo arrestarono e deportarono nel campo di Tarsia. Lasciò il campo il 31 ottobre 1942: sposatosi nel 1947, aprì a Cosenza la “Casa del libro” in piazza Crispi, ovvero una libreria e casa editrice il cui catalogo offriva già dall’inizio una scelta incentrata sulla storia del Mezzogiorno nonché sull’esoterismo, molto spesso d’impronta massonica (Gustav era affiliato al Grande Oriente d’Italia).

Le ristampe anastatiche

Fu allora che si fece strada anche la sua prima idea di “biblioteca circolante”, in qualche modo antesignana del bookcrossing oggi in voga. A Brenner si dovrebbe riconoscere, tra l’altro, un primato che di solito si attribuisce ad altri, ovvero quello di aver introdotto in maniera sistematica, in Italia, la ristampa anastatica (riedizione, conforme agli originali, di opere difficilmente reperibili). Prima di lui, in maniera sporadica, a mettere in commercio delle ristampe anastatiche era stata certamente la Görlich di Milano, mentre all’estero era stata già messa in atto dal celebre antiquario Kraus, cresciuto nella stessa Praterstrasse (proprio al civico 16 in cui visse Arthur Schnitzler).

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Gustavo Brenner sull’ingresso della sua prima libreria a Cosenza

Ma la paternità dell’introduzione sistematica della ristampa anastatica in Italia viene di solito erroneamente attribuita ad Arnaldo Forni: in realtà le primissime pubblicazioni di Forni vedono, sì, la luce nel 1959 ma le sue prime ristampe anastatiche nascono soltanto nel 1966. A voler esser magnanimi, un primo isolato tentativo di anastatica fu messo in atto da Forni nel 1961, mentre Brenner aveva pubblicato già nel 1958 l’anastatica in tre volumi della Storia dei Cosentini di Davide Andreotti (l’edizione, sotto l’insegna della Casa del libro in Cosenza, riporta l’acerba dicitura “ristampa elettro meccanica dell’edizione di Napoli, S. Marchese, 1869”).

Una sfida impari

Detto ciò, resta inconfutabile che Brenner sia stato il primo in Italia e tra i primi in Europa a riprodurre rare opere che, soprattutto tra il Sei e il Settecento, gli autori meridionali avevano fatto stampare presso tipografie perlopiù estere. Certo, l’indirizzo prettamente meridionalistico ed esoterico delle edizioni Brenner non poté competere col respiro più ampio del catalogo Forni e con la più acuta capacità commerciale del bolognese il quale, se pur non aveva nemmeno lontanamente la levatura culturale di un Brenner, poteva dal canto suo avvalersi, nella città universitaria, della collaborazione di un intellettuale di notevolissimo spessore quale Albano Sorbelli, figura con la quale nessuno, in Cosenza, avrebbe potuto misurarsi.

Il Picasso degli ex libris

E Michel Fingesten (già Finkelstein) cosa c’entra con i libri, vi starete chiedendo? Presto detto: è stato, tra l’altro, il più grande ideatore e incisore di ex libris del Novecento. Anzi, qualcuno disse che Fingesten sta all’ex libris come Picasso sta alla pittura. Nato nel 1884 a Butzkowitz, studiò all’Accademia di Vienna, laddove ebbe come compagno di studi nientemeno Oskar Kokoschka. Membro della corrente della “Nuova Secessione”, testimoniò nelle sue acqueforti le atrocità della Grande Guerra.

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Michel Fingesten dipinge a Ferramonti

Internato nel 1940, continuò a creare opere d’arte persino a Ferramonti, come quel Martirio di San Bartolomeo commissionatogli dall’allora parroco di Bisignano. Ma è l’ex libris la sua specialità  e per gli ex libris verrà richiesto il suo talento dai collezionisti di tutta Europa (tra i committenti celebri, addirittura Roosvelt, Stravinsky, Richard Strauss, Rainer Maria Rilke, Bernard Shaw e Paul Valery o, in Italia, Pirandello, D’Annunzio e addirittura Mussolini!).

Israel Kalk e la Mensa dei Bambini

L’altra figura legata a Ferramonti e ai libri, è quella di Israel Kalk. Ebreo lettone, trasferitosi a Milano si dedica a iniziative filantropiche come la Mensa dei Bambini, che accoglie i figli dei profughi ebrei giunti in Italia intorno al 1938-39. Assicura loro una dimora, un pasto quotidiano, l’assistenza medica e il doposcuola. L’attività della Mensa si estende presto all’assistenza per i profughi ebrei anziani e per i deportati nei campi di concentramento dell’Italia meridionale.

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Israel Kalk

È così che Kalk riesce a recarsi ripetutamente presso il campo di Ferramonti: all’organizzazione del campo dona materiale scolastico, vestiario, medicinali e sussidi, istituendo persino una borsa di studio a tutti gli scolari. Dal 1939 Kalk incomincia a raccogliere un fondo archivistico, costituito non soltanto dai documenti della Mensa ma pure dal ricchissimo materiale inerente all’attività di assistenza presso Ferramonti e dalla sua collezione libraria: 416 volumi, prevalentemente in lingua yiddish, pubblicati tra il 1907 ed il 1977 (narrativa, poesia e teatro, raccolte di proverbi, leggende e fiabe ebraiche, testi sacri e canti liturgici), oggi custodito dal Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea di Milano.

Ernst Bernhard, lo psicanalista delle star

L’ultimo personaggio, Ernst Bernhard, nacque invece a Berlino, da genitori ebrei, nel 1896. Socialista, partecipò alle rivoluzioni bavarese e austriaca. Dopo la laurea in medicina indirizzò i propri interessi verso la psicanalisi, e collaborò con Jung tra il 1935 e il 1936, anno in cui si trasferì a Roma, marcando ancor più del suo maestro l’interesse per l’esoterismo, nonché per la teosofia, la chirologia e l’astrologia. Non è propriamente un bibliofilo, ma ai patrimoni librari e alla stessa storia del libro, ha contribuito con la sua opera di saggista.

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Ernst Bernhard

Prigioniero anch’egli, nel 1941 Bernhard poté finalmente lasciare Ferramonti, dove era entrato «col suo I Ching e il suo diario, deciso a vivere in modo consapevole e significativo ciò che il destino gli avrebbe portato». Riprese poi la professione nella capitale e a Bracciano, laddove fondò l’Associazione Italiana di Psicologia Analitica, che portò avanti fino seguendo illustri pazienti quali Natalia Ginzburg, Giorgio Manganelli, Cristina Campo, Roberto Bazlen, Vittorio de Seta e, tramite quest’ultimo, persino Federico Fellini.

Ferramonti e il paesaggio palestinese

Dai suoi diari di autoanalisi emerge pure un sogno fatto e annotato durante la prigionia (che, a dire il vero, starebbe benissimo sulla bocca del miglior Woody Allen):

«Dal campo in Calabria vengo deportato verso Oriente e arrivo in un campo dove sono completamente isolato e solo.
Penso che mi peserà molto il non avere nessuno di cui prendermi cura e da far progredire. Ma a mio conforto mi viene in mente che là ci sarà pure un corpo di guardia nazista. Potrei prendermi cura di questo».

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Soldati all’esterno del campo

Ancora, negli anni più maturi della sua professione non mancò di ricordare sporadicamente l’esperienza calabrese:

«Nel 1941, quando ero internato in Calabria, passai il Venerdì Santo solo, sotto un fico, leggendo e digiunando, davanti a me il paesaggio del Mediterraneo, che mi ricordava il paesaggio palestinese. Quando la sera mi avvicinai al campo d’internamento, mi venne incontro il brigadiere della polizia e mi disse: “Dottore, è arrivato il telegramma”. Ero libero. Comprai vino rosso e dolci per i miei compagni di prigionia e nuovi amici, festeggiai con loro l’addio e il giorno seguente partii in tassì, con fichi e cioccolata, per Amantea e la notte seguente per Roma. La domenica di Pasqua arrivai in via Gregoriana, con una completa amnesia di tutto ciò che prima della mia prigionia era avvenuto nella mia abitazione, tanto per quel che riguardava me che i miei pazienti».

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