Federico, il Duomo e i carnefici di Cristo

Quanto è antico il pregiudizio sulla Calabria? L'ottocentesimo anniversario della ricostruzione della Cattedrale di Cosenza è l'occasione per riscoprire la leggenda nera secondo cui i bruzi crocefissero Gesù

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Le manifestazioni per gli ottocento anni della ricostruzione della cattedrale di Cosenza hanno offerto diverse occasioni per ripercorrere la storia della città e della sua vasta diocesi.
Da qualche giorno è stata inaugurata una mostra presso le Sale espositive della Provincia di Cosenza, in corso Telesio: 1222-2022 Tam Antiqua, quam Nova. La Cattedrale si racconta.

La Cattedrale perduta

L’ingresso è gratuito e l’esposizione resterà aperta fino al 30 settembre. Nella sezione La cattedrale prima della Cattedrale sono esposti reperti emersi durante le campagne di scavo. E ci sono immagini relative alla Cattedrale perduta, cioè il rifacimento di epoca barocca rimosso con l’importante restauro di fine Ottocento, che ha ripristinato l’originario edificio romanico.
Le cattedrali nel corso dei secoli rispecchiano gli orientamenti artistici dominanti e solo di recente si è affermato il principio di non snaturare gli edifici, di non alterarne le linee.

Il monumento nascosto

Torniamo al Duomo: sotto gli stucchi barocchi era occultato anche il monumento funebre alla regina Isabella d’Aragona, che oggi si mostra in tutta la sua eleganza.
Una sala video consente di immaginare come fosse l’edifico barocco. Un percorso efficace, coinvolgente.
Forse qualche pannello storico avrebbe agevolato l’approccio: sarebbe bastato un semplice elenco dei vescovi attestati dalla tradizione per evidenziare l’antichità delle vicende.

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Il monumento funebre di Isabella d’Aragona

La leggenda nera: i bruzi carnefici di Gesù

La storia religiosa si intreccia con l’antropologia, con l’arte e la vita quotidiana. Un insieme di dati, devozioni, leggende che si possono essere avvicinate con rispetto o rifiutate in blocco, come un peso fastidioso di un passato ormai sepolto.
Tra le leggende, quella che vuole i carnefici di Gesù sul Golgota reclutati tra gli antichi bruzi è antica e di complessa lettura.
Il grande storico Augusto Placanica l’ha analizzata in profondità, a proposito dell’immagine della Calabria, degli stereotipi sui calabresi e sulla loro indole. È una leggenda che inizia a circolare nei primi secoli dell’era cristiana, poi rinvigorita durante la dominazione spagnola, che ha contribuito a creare un alone negativo sulla Calabria in epoca moderna.

Arriva l’imperatore

Difficile dire cosa ne pensasse il clero cosentino durante il Medioevo, data la scarsa documentazione. Gli ecclesiastici di allora erano diversi, per cultura e stile di vita. Solo alcuni compivano un corso di studi regolari e approfonditi.
L’imperatore Federico II fece il suo ingresso solenne a Cosenza, il 30 gennaio 1222, accompagnato dai suoi cavalieri e dall’abituale seguito di dame, concubine, animali esotici, nani e ballerine, sapienti ebrei e arabi. La città, ancora raccolta sulle alture tra i due fiumi, lo accolse con entusiasmo. Proprio per l’occasione, i cosentini ricostruirono la cattedrale, distrutta dal terremoto del 1184, e la riconsacrarono alla presenza dell’imperatore.

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Federico II di Svevia

Il vescovo che ricostruì il Duomo

Luca Campano, l’arcivescovo artefice della riedificazione, non poteva essere più soddisfatto. D’altronde, seguire per anni quel cantiere era faticoso: occorreva sorvegliare i conti e dare indicazioni precise alle maestranze affinché non travisassero i simboli e le proporzioni delle parti.
Completata l’opera, già pregustava di poter tornare ai suoi amati studi. In particolare, alle opere del suo maestro, Gioacchino da Fiore, di cui era stato il fedele scrivano fino alla morte.
Cercò forse di nascondere il suo turbamento quando, durante la messa, l’imperatore si fece avanti con il suo dono per la nuova cattedrale? Una preziosa croce reliquiario, raffinata, con diverse pietre preziose incastonate e smaltata a colori vivaci. Una croce. Perché non una coppa, una pisside, un prezioso bastone pastorale, una mitra riccamente decorata?

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Luca Campano, il vescovo che ricostruì il Duomo di Cosenza

Una croce in dono

Perché proprio una croce, qui, nella terra dei bruzi, carnefici di Gesù?
Il suo maestro Gioacchino amava i simboli, ne aveva immaginati e disegnati tanti, affidati poi ai miniatori più abili per i preziosi manoscritti delle sue visioni. Eppure anche lui aveva evitato di usare come simbolo la croce.
A Luca Campano quella preziosa croce reliquiario ricordava certe visioni apocalittiche del suo maestro, che tanta inquietudine suscitavano nei lettori e nelle gerarchie ecclesiastiche? Dodici secoli erano trascorsi dai fatti del Golgota e i fedeli della sua grande diocesi non gli sembravano migliori o peggiori degli altri cristiani dei suoi tempi.
Ignoranti, rissosi, ubriaconi, violenti e grossolani nel linguaggio e nei pensieri. Ma allo stesso modo dei Lombardi, dei Franchi e dei Germani. Allora, perché ricordargli quella colpa così lontana nel tempo?

Ma Federico sapeva?

La croce reliquiario venne riposta nel tesoro della Cattedrale, dove è tuttora custodita.
Sono previste altre manifestazioni per gli 800 anni della ricostruzione che portò a Cosenza l’imperatore Federico II e il suo dono. L’imperatore era un uomo colto, cosa rara per un sovrano medievale. La sua corte contava numerosi intellettuali, di solida cultura. Federico aveva avuto notizia della leggenda? E Luca Campano aveva mostrato turbamento per quel richiamo implicito al supplizio?

La stauroteca donata da Federico II

Vescovi bruzi alle crociate

O forse non ebbe alcun turbamento perché, come tutti i vescovi medievali, aveva altre gatte da pelare. Già: i presuli dell’epoca gestivano delle mansioni oggi inimmaginabili.
Il grande scrittore cosentino Nicola Misasi racconta in un reportage sulla sua città che «i suoi presuli od arcivescovi, ebbero titolo di conte e giurisdizione sulle terre di San Lucido, e di Rende. Con Pietro, Presule e perciò conte di Rende e di San Lucido, mandò nella prima crociata mille soldati in Terrasanta, tutti cittadini di Cosenza che combatterono assai valorosamente».
Poi aggiunge: «il Tasso ne fa menzione nel canto VII della Gerusalemme Liberata; … questo loco non è il terzo giorno/ Tolse ai pagani di Cosenza il Conte».

Il supplizio di Gesù, fotogramma da “The Passion” di Mel Gibson (2004)

Vescovi guerrieri

Evidentemente, alcuni arcivescovi di Cosenza dovevano avere un certo piglio guerriero. Al riguardo, Misasi cita un altro episodio, avvenuto durante le lotte tra gli Svevi e la Chiesa. Nel 1260, durante la battaglia di Benevento, Manfredi, figlio naturale ed erede politico di Federico II, perse la vita e il regno. E l’arcivescovo Pignatelli, «pastor di Cosenza», gli negò la sepoltura cristiana, dato che era un nemico della Chiesa.
L’episodio è citato da Dante nel Canto III del Purgatorio: «Se il pastor di Cosenza che alla caccia/ Di me fu messo per Clemente allora/ avesse in Dio ben letta questa faccia».
Altri tempi. Oggi non capita di vedere arcivescovi armati di tutto punto che dirigono operazioni militari o fanno disseppellire e abbandonare ai cani i resti di un principe caduto in battaglia.
Siamo anche consapevoli della differenza tra leggenda e storia. Tuttavia, le leggende che pesano ancora sull’immagine di questa terra periferica sembrano non finire. Infatti, ci sono anche quelle sui calabresi ribelli per natura e incapaci di vivere secondo le regole. Briganti per vocazione.

Mario De Filippis

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