Questa storia è iniziata con un messaggio: «Ti va di scrivere qualcosa sulle partigiane calabresi?». Certo che mi andava, ne ero entusiasta: quale occasione migliore per parlare della storia delle donne durante la Liberazione? Sebbene in Italia associamo la partigianeria ai volti di uomini, anche le donne combatterono la lotta antifascista.
Nel documentario La donna nella Resistenza, diretto da Liliana Cavani nel 1965, possiamo ascoltare alcune delle loro testimonianze e farci un’idea dell’impatto che ebbero nel condurre l’Italia verso la fine del regime fascista e dell’occupazione nazista: 70mila aderirono ai gruppi di difesa, 35mila parteciparono ad azioni di guerra partigiana, 500 ricoprirono ruoli di comando e (solo) 16 furono decorate con medaglie d’oro.
Donne e Resistenza: il tabù delle armi
I ruoli di queste donne furono molteplici, ma la loro azione si associa soprattutto a quello della staffetta. E, come possiamo notare, solo per una parte ci fu coinvolgimento nella lotta armata e un’esigua minoranza ricevette dei riconoscimenti ufficiali dopo la fine della guerra.
Perché? Simona Lunadei, che ha diretto dal 1985 al 2000 l’Istituto romano per la storia d’Italia dal fascismo alla resistenza e fa parte della Società Italiana delle Storiche, spiega che uno dei problemi fu il tabù delle armi per le donne: riconoscere che le donne siano capaci di esercitare azioni violente, esattamente come gli uomini, equivaleva ad accettare un’eguaglianza di genere sostanziale.
Carla Capponi, partigiana decorata con medaglia d’oro al valore militare, nel suo libro Con cuore di donna raccontò che i suoi compagni non volevano darle una pistola e che lei la rubò e loro provarono a sottrargliela. E poi ci fu l’occultamento delle partigiane dopo la Liberazione, come nel caso torinese in cui il PCI impedì alle donne della Brigata Garibaldi di sfilare assieme ai compagni partigiani. Accostarsi alle donne, si pensava, avrebbe fatto sembrare i compagni meno credibili.
Le donne calabresi nella Resistenza
Sì, ma le donne calabresi come parteciparono alla Resistenza? Ecco, a questo punto mi sono scontrata con il muro della mia ignoranza. Cosa sapevo delle mie conterranee? Pressoché nulla, ma sarebbe bastato studiare e fare un po’ di ricerca storiografica, giusto?
Da qui ho avuto l’opportunità di conoscere alcune delle loro storie.
Anna Cinanni
Nasce a Gerace Superiore nel 1919 in una famiglia di contadini e, tutti insieme, si trasferirono a Torino tra il ’28 e il ’29, Suo fratello, Paolo, è membro del PCI e fa avvicinare Anna al partito. Nel 1935 Anna entra a far parte del Soccorso Rosso, organizzazione fondata nel 1922 durante il IV congresso dell’Internazionale Comunista per offrire supporto materiale e morale alle vittime della lotta antifascista.
Nel 1943 aderisce ufficialmente al PCI ed entra a far parte della Brigata Garibaldi, col nome di battaglia Cecilia. Poi, nel ’45, la polizia scopre materiale clandestino nel doppio fondo della sua borsa e la arresta a Vercelli. La spostano a Torino per farla giudicare dal Tribunale speciale, ma riesce a scamparla grazie alla liberazione della città.
Con la fine della guerra continua la sua militanza nel PCI e prosegue nel suo impegno per coinvolgere le donne nella lotta politica. In vista delle elezioni del 1946 in Piemonte organizza l’associazione Ragazze d’Italia; l’anno successivo è eletta responsabile delle donne alla quarta Sezione Luigi Capriolo; nel 1949 partecipa al quinto Corso della scuola nazionale femminile, al termine del quale è nominata funzionaria organizzativa e politica dell’Unione Donne Italiane (Udi).
Anna Condò
Nasce a Reggio Calabria e, dopo i bombardamenti degli Alleati, si trasferisce in Piemonte con la famiglia. Qui il fratello, Ruggero, aderisce alla Brigata Garibaldi e anche Anna entra a far parte della Resistenza partigiana come staffetta. Il fratello viene catturato e muore in un campo di concentramento tedesco. Anna, invece, finita la guerra torna a Reggio Calabria. Diventa insegnante e testimone della storia coltivando la memoria di Ruggero e di chi, come lei e suo fratello, fu parte attiva della Liberazione dal nazi-fascismo.
Caterina Tallarico
Nasce nel 1918 a Marcedusa, nel catanzarese, e si trasferisce a Roma per studiare Medicina. Nel 1942, sotto consiglio del fratello Federico, decide di spostarsi a Torino, che sarebbe stata una città più sicura della Capitale in caso di bombardamenti. Qui Caterina inizia ad offrire supporto medico ai partigiani e finita la guerra torna in Calabria per esercitare la professione di medico.
Teresa Tallotta Gullace
Nasce a Cittanova nel 1907 in una famiglia di braccianti. Sposa Girolamo Gullace, col quale si trasferisce a Roma. L’uomo, nel 1944, viene catturato durante un rastrellamento di civili nella zona di Porta Cavalleggeri. Teresa, al settimo mese di gravidanza, si presenta davanti alla caserma assieme a centinaia di altre donne.
Tutte reclamano il diritto di parlare con i propri cari, catturati durante il rastrellamento, e ne pretendono la liberazione. In quell’occasione Teresa muore per mano di un soldato tedesco, che spara contro la donna. La sua vicenda ispirerà il personaggio della Sora Pina, interpretato da Anna Magnani in Roma città aperta di Roberto Rossellini.
Giuseppina Russo
Nasce a Roccaforte del Greco, nel reggino, e col marito Marco Perpiglia emigra a La Spezia per lavorare. In Liguria Giuseppina entra a far parte della Brigata Garibaldi e partecipa alla Resistenza.
Tanti nomi, poche storie
In questa ricerca ho trovato i nomi di altre donne calabresi coinvolte nella Resistenza e nella Liberazione, ma non le loro storie. Tra le mani avevo poche informazioni e, tra l’altro frammentate. Le partigiane calabresi di cui sapevo qualcosa, inoltre, non avevano combattuto in Calabria. L’entusiasmo iniziale si stava trasformando in delusione.
Avevo in mente le testimonianze di partigiane emiliane o lombarde o toscane, perché era così difficile trovare quelle delle calabresi?
Se non potevo ricostruire la memoria della partigianeria femminile in Calabria, potevo almeno provare a darmi qualche risposta. Così ho deciso di contattare la professoressa Tiziana Noce, docente di Storia contemporanea all’Università della Calabria. Si è occupata di Resistenza e militanza politica delle donne tra guerra e ricostruzione.
Certo, le informazioni che abbiamo sono davvero insufficienti e la memoria di quelle donne è andata perduta. Io, però, mi stavo muovendo nella ricerca con una prospettiva inadeguata. «Più che cercare, in questo contesto, ciò in cui la Calabria somiglia a Milano o a Firenze – che non ha senso – perché non riflettere sui termini in cui si può parlare di antifascismo, resistenza e adesioni a questi valori nella regione?»
Nord e Sud
Ciò che mancava alla mia ricerca iniziale era una lenta d’analisi meridionalista, capace di riconoscere le peculiarità del Sud e di non rincorrere in cosa il Meridione somigli al Nord. Fare questo significherebbe creare una gerarchia Nord-Sud e ammettere che uno è migliore dell’altro. La Calabria presentava un contesto socioeconomico diverso dalle regioni del Centro e del Nord Italia: come potevo aspettarmi allora di trovare le stesse dinamiche sviluppatesi altrove?
I movimenti che hanno visto la storia del protagonismo femminile si sono sviluppati in realtà urbane e industriali. Quindi, una regione priva di città significative e di quel tessuto industriale patisce la sua marginalità e il suo essere una periferia priva di quel contesto che ha prodotto quei fenomeni sociali. Questo, però, non significa che la Calabria non sia stata coinvolta nei flussi che si stavano generando. Come abbiamo visto, le donne calabresi hanno partecipato alla Resistenza e, se le storie delle partigiane sono poche, possiamo riflettere su ciò che è accaduto nella regione dopo la caduta del regime fascista.
Donne e politica dopo la Resistenza
Con le elezioni del 1946 in Calabria, per esempio, furono elette tre sindache: Lydia Toraldo Serra, a Tropea; Caterina Tufarelli Pisani, a San Sosti; Ines Nervi Carratelli, a San Pietro in Amantea. Fu un dato nazionale rilevante: nelle amministrative di quell’anno furono elette 12 sindache in tutta Italia. E un quarto era rappresentato da politiche calabresi, tutte appartenenti alla DC.
Le donne calabresi partecipavano alla politica e davano corpo allo spirito antifascista su cui si fondava la neonata democrazia italiana. Questo dato ci lascia intuire che, durante la Resistenza, le donne calabresi non furono soggetti passivi ma parteciparono attivamente ai flussi sociali che stavano attraversando la penisola.
Francesca Pignataro