Donna Pupetta e il triathlon dei cosentini

Cosenza è piena di personaggi. Ce n'è perfino uno che non esiste, ma che tutti hanno incontrato almeno una volta nella loro vita: basta essere passati dal centro città, Camigliatello o Sangineto

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Non si può parlare solo delle strade extraurbane, e si deve parlare anche delle persone che le percorrono. Cosenza offre un magnifico teatro umano di strada, ad esempio. E non mi riferisco soltanto al centro storico. Anzi, tutt’altro. Lo dico da anni, Cosenza e la cosentinità mi ricordano sempre un set di Scorsese.

La locandina di Quei bravi ragazzi (Goodfellas)

L’homo consentinus, quello medio, non ha nulla da invidiare al carisma – per usare un eufemismo – di certi personaggi da Goodfellas o da Casinò. Paul Sorvino andrebbe benissimo come politicante bruzio. Joe Pesci me lo vedo come penalista agguerrito o come medio imprenditore locale… tutta roba fatta di sguardi di tre quarti, frase dette a mezza bocca, allusioni che è bene capire al volo.

I cosentini e la supponenza

Saranno i negozianti annoiati, che fumano mille sigarette davanti al proprio esercizio e poi lanciano la cicca con maestria, sicuri di sé, attenti a farla cadere al di là del marciapiede. Sarà il libero professionista con lo smanicato, l’uomo attempato con aria da usuraio che – a detta sua – te ne potrebbe raccontare mille ma non lo farà mai. Sarà l’anziano che passeggia su via Roma, di ritorno dalla spesa, e sputa gusci di lupini con aria disinvolta… O sarà la comica – involontariamente comica – prosopopea cosentina: l’homo consentinus conosce ogni cosa meglio, prima e più di te.

Uno scontro tra titani, se due cosentini dovessero sfidarsi su una primogenitura del genere: non vale la pena, se non per divertimento. Ecco, potrebbe nascere semmai una nuova disciplina olimpionica: una sorta di triathlon retorico bruzio, oppure non so, di “supponenza bruzia”.

Provate a dire ad un cosentino d’aver appreso la notizia della tale rapina in banca… bene, comincerà a dirvi che lui l’ha saputo prima. Sfidatelo, ditegli che voi passavate proprio per quella strada, in quel momento. Vi dirà che lui era dentro la banca. Ditegli che voi eravate appena usciti e avete visto in faccia i rapinatori. Vi dirà, stremato ma non finito, che non li avete visti tutti, perché uno dei rapinatori era proprio lui. Gioco-partita-incontro.

Mansplaining nel ‘500: Aulo Giano Parrasio

Non ci crederete ma questa sorta di mansplaining bruzio o bruziosplaining ce la portiamo dietro da secoli. Ne ho scovato una traccia nel Cinquecento: avete presente Aulo Giano Parrasio, “quello” al quale, per intenderci, è intitolata la piazza alle spalle del Duomo? Bene: al secolo Giovanni Paolo Parisio, Parrasio (1470-1522), era un umanista eccelso e insegnò a Cosenza, Napoli, Vicenza, Padova, Venezia, Roma e Milano, e sposò la figlia di un altro grande umanista, il greco Demetrio Calcondila (1423-1511). Questa Teodora non era né bella né ricca ma era “figlia del padre” (è Parrasio stesso a esprimersi così, cazzu cazzu iu iu).

Aulo Giano Parrasio

Ma non è finita qui: le fonti narrano che Parrasio era particolarmente pratico di greco e, soprattutto, di latino. Tanto pratico da scrivere a Basilio Calcondila, fratello di sua moglie, una frasetta che è un capolavoro di protervia cosentina: «In graecis ad patrem refers, in latinis ad me». Me lo vedo. E me lo vedo dirglielo in dialetto («fin a qquannu parram’i greco…») magari con una Marlboro tenuta in punta di pollice e indice.

Demetrio Calcondila

Donna Pupetta e la Cosenza borghese

Ma, in realtà, il personaggio più tipico della Cosenza borghese è lei: Donna Pupetta. Saprete senz’altro chi fosse la Donna Brettia (forse più per le polemiche recenti, in merito alla statua che tenta, molto maldestramente, di darne una rappresentazione) mentre non potete sapere chi è Donna Pupetta, in quanto è inventata di sana pianta (quindi ogni riferimento ecc. ecc…). Eppure ne avrete conosciuta più di una.

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La statua di Donna Brettia donata a Palazzo dei Bruzi e ancora in attesa di collocazione

Donna Pupetta non è una persona, è un modus vivendi, è una genìa, un concetto. Al tempo stesso non esiste e ne esistono tante. Ognuno di voi potrà identificarla con qualcuno. Riconoscerete in lei una vostra suocera, cognata, zia, cugina, nonna, collega o vicina di casa (mai la propria mamma: nessuno di noi avrebbe la franchezza di doverlo eventualmente ammettere). Donna Pupetta può risultare detestabile, oppure straordinariamente simpatica. Ma chi è? Vediamola da vicino.

Anatomia di un personaggio

Si tratta in genere della moglie-tipo dell’attempato libero professionista cosentino (o burocrate, o dirigente). Di solito è nata tra la seconda metà degli anni ’30 e la prima metà dei ’40. Oggi la si riconosce per le misure abbondanti, il caftano estivo, il doppio mento, la sigaretta sottile sempre accesa, vistose collane a pallettoni in simil-ambra o simil-oro, occhiali con grandi lenti scure, stile Sandra Mondaini, acquistati tra la fine dei ’70 e i primissimi ’80, e spesso le sopracciglia inesistenti e soltanto disegnate.

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Sandra Mondaini

Altra caratteristica immancabile è la voce rauca, molto rauca, intervallata troppo spesso da roboanti colpi di tosse molto eloquenti in fatto di quantità di nicotina assorbita negli anni.

Donna Pupetta e la scalata alla Cosenza bene

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Cosenza, via Alimena negli anni ’50

In realtà, Donna Pupetta ha origini modeste, a volte modestissime. Ma a cavallo tra gli anni ’50 e i primi ’60 era una bella ragazza. Ovviamente era una moda, all’epoca, farsi chiamare “Pupetta”, o “Pupa”: a qualcuna, il nomignolo è rimasto appiccicato a vita (né sono rare le cene in cui le Pupette sono anche più di due, ma purtroppo è una razza in via d’estinzione. Anzi, no: a pensarci bene, vedo che nuove future Pupette si fanno strada, Pupetta non morirà mai). Il vero nome che le si può attribuire è certamente un qualsiasi nome molto popolare, magari composto.

Frequentava le cerchie ‘bene’, con grandi sacrifici della sua famiglia, in ossequio al detto «mischiati con i migliori e fanne le spese». Non parla dialetto (se non di nascosto, con la “donna” – ci tiene a chiamarla così – che le fa le pulizie a casa) ma parla un italiano con fortissimo accento dialettale. La povera madre la spingeva a sedurre qualche rampollo altolocato. E, non si sa come o forse sì, le Pupette ci sono sempre riuscite. Mediamente hanno sposato uomini di cultura molto buona, se non addirittura brillanti. Il marito – dicevo – può essere un medico, un avvocato, di solito figlio d’arte, se non nipote d’arte. Un grande, incomprensibile amore.

Natale in pelliccia

Pupetta, ovviamente, non è mai stata vista benissimo dal suocero, figuriamoci dall’altezzosa suocera. Ma ha raggiunto l’obiettivo. La Cosenza bene è sua. Sua la messa di Natale in pelliccia, al Duomo. E può chiamare per nome i gioiellieri e i gestori dei negozi storici di abbigliamento. Di solito ha dato alla luce 3 figli, mai tutti dello stesso sesso, entro la fine degli anni ‘60. Almeno uno sarà obbligatoriamente un primario ospedaliero, per diritto antico, una sorta di investitura di sangue. Una figlia si sarà certamente ficcata in qualche Ministero, a Roma. Oggi è solitamente già divorziata e/o già riaccompagnata.

Vita mondana e venerabili

Ma torniamo a Pupetta. La sua cultura è sempre piuttosto bassa o perlopiù assorbita per osmosi. La sua indaffarata vita mondana le ha impedito, tra gli anni ’70 e gli ’80, anche di ascoltare un telegiornale. Il suo svago preferito: il tavolo da gioco, baccarà o burraco. Il marito la tollera. Tolleranza è la parola giusta: resta sprofondato nella sua poltrona a leggere l’ultima pubblicazione del Rotary, di cui si onora di far parte, o a correggere le ultime “tavole” del fraterno amico assurto al “settimo scalino” perché, come “un mezzo toscano e una croce di cavaliere”, anche un temporaneo venerabilato non si nega a nessuno. Il tutto con buona pace della scetticissima moglie che non perde occasione di apostrofare gli amici del marito quali persone noiosissime e dai discorsi difficili.

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Piazza Fera in una cartolina d’epoca

Il mondo di Donna Pupetta: Cosenza, Camigliatello, Sangineto

Donna Pupetta a Cosenza non è mai salita su un autobus. O è condizionata ai passaggi di marito, figli, nuore, cognate e amiche o, al limite, guida un’auto sproporzionata alle sue capacità di condurla. Ma non è poi un problema, perché abita in pieno centro. Via Alimena, Piazza Fera o giù di lì. E che interesse può avere ad andare lontano? Cosa c’è mai fuori Cosenza?

Le “Costellazioni” di Sangineto in un vecchio depliant

Per lei, solo due posti: Camigliatello (o Lorica) e Sangineto. Solo che il villone sanginetese è perlopiù assediato dai nipotini romani, dalle nuore usurpatrici del territorio domestico, dal caldo e dai rumori della ferrovia (nota bene: nel qual caso i nipotini romani fossero figli di un suo figlio e non di una sua figlia, allora vuolsi che la nuora sia necessariamente bionda naturale. E anche ciascun pargolo. Misteri della genetica, che ai piccoli Dudo, Taio e Attilio porge la nobile chioma alla faccia dei geni recessivi).

Vacanza o trasferimento?

Pupetta nemmeno nuota, sta in piedi sul bagnasciuga con i polsi appena poggiati ai fianchi e un brutto cappello di paglia a falde larghe calato sul davanti in malo modo. Con il caldo, poi, la pressione bassa non le fa gustare le sue sigarette, perciò finisce che al mare va sempre a malincuore, certamente nostalgica delle cene a villa Mancini e dei manicaretti preparati dalla cuoca di questi, per fare un esempio. Preferisce la Sila, senz’altro. Dove potrà beatamente condurre la stessa vita cosentina. Più o meno con le stesse persone. Non una vacanza: un trasferimento. Giusto un materasso diverso. Se potesse, si porterebbe dietro pure quello.

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