Il domani di Paola Cortellesi ci sarà ancora per Sangiuliano e Valditara?

Ha battuto al botteghino i grandi kolossal hollywoodiani e ora anche il New York Times lo celebra. Dopo i finanziamenti pubblici negati perché «di scarso valore artistico» ora ci si aspetterebbe un cambio di rotta dal Ministero della Cultura: arriverà?

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Il grande successo del film con cui Paola Cortellesi firma il suo esordio alla regia fa ancora parlare di sé anche per il record d’incassi. Si stimano oltre 27 milioni di euro e il concetto dietro C’e ancora domani certamente apparirà molto più chiaro anche al Ministero della Cultura. Lo stesso che al film, giudicandolo come “opera di scarso valore artistico e di qualità non straordinaria”, ha negato finanziamenti pubblici collocandolo addirittura come ultimo nella graduatoria del bando. Poco importa che alla data del 12 ottobre 2022, il Ministro che nominò la Commissione colpevole della bocciatura non era Sangiuliano, ma Franceschini. Il danno d’immagine è fatto. E ora Sangiuliano, oltre che elargire consigli di letture come il libro di Alessandro Sallusti, La versione di Giorgia, dovrebbe preoccuparsi, in concerto con il ministro Valditara, di portare questo film in ogni scuola italiana e di promuoverlo anche a livello internazionale.

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I ministri Valditara e Sangiuliano

Paola Cortellesi batte Ridley Scott

C’è ancora domani ha avuto il suo meraviglioso domani, unico film di produzione italiana ad entrare nella Top 10 annuale, vincendo il Biglietto d’oro 2023. Dopo la presentazione in anteprima alla Festa del cinema di Roma, ha già portato a casa il Premio del pubblico, la Menzione Speciale Miglior Opera Prima e il Premio Speciale della Giuria.
Dal 26 ottobre il lungometraggio riempie le sale cinematografiche, occupa le prime pagine dell’informazione, battendo anche Napoleon di Ridley Scott. Una prova insomma, qualora ce ne fosse bisogno, che il cinema italiano gode di ottima salute, anche quando racconta la storia di una donna di borgata a confronto con il più grande imperatore della storia contemporanea.

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Joaquin Phoenix interpreta Bonaparte nel film di Scott

Per questa volta la fascinazione del grande condottiero nulla può contro il femminismo in bianco e nero di Paola Cortellesi. E mentre tutti ne parlano, le interviste ai protagonisti si moltiplicano. Nessuno sembra intenzionato a rimanere fuori dal dibattito su di un film che fa molto ridere e, ancor di più, riflettere. Certo, il rischio è quello di non aggiungere nulla alla discussione su un’opera che, nonostante qualche vano tentativo di critica, semplicemente è bello da vedere e, possibilmente, anche da rivedere.

Il 1946 di Paola Cortellesi

La Cortellesi per la realizzazione del film ha seguito un percorso che può definirsi teatrale: tre mesi di prove prima di iniziare le riprese, cosa che nel cinema raramente avviene. Il cinema è fatto di scene tra attori che, molto spesso, si incontrano sul set giusto il tempo di un ciak, nulla a che vedere con il lungo lavoro di condivisione di una compagnia teatrale.
La scena iniziale, vale a dire lo schiaffo di Ivano (Valerio Mastrandrea) alla moglie Delia (Paola Cortellesi), sembra una sorta di presentazione di ciò che accadrà, un prologo che ironicamente fa pensare «iniziamo bene!».

Sarà Delia ad aprire il sipario sulla narrazione, spalancando la piccola finestra del seminterrato in cui abita con la famiglia. Delia guarda fuori dal basso della sua casa e dalla sua condizione di donna, non diversa da quella di tante donne degli anni ‘40. Ma aprire le finestre al nuovo sole è necessario per far entrare i nuovi sogni. La primavera del giugno 1946 è arrivata: le donne non saranno più le stesse di prima.

I protagonisti di C’è ancora domani

La guerra è finita da poco, l’Italia è stata liberata, la miseria è ancora tanta e la famiglia dei protagonisti vive la condizione del proletariato romano. Delia è moglie, madre di tre figli, vive anche con l’anziano suocero, il Sor Ottorino (Giorgio Colangeli), alla quale la donna è costretta a fare anche da badante. La figlia primogenita Marcella (Romana Maggiora Vergano) spera di sposarsi in fretta con Giulio (Francesco Centorame), un ragazzo del ceto borghese, e liberarsi così da una famiglia per molti versi disagiata.
Le giornate di Delia si svolgono tra la pulizia della casa, i lavoretti che svolge correndo da una parte all’altra della città per aiutare la famiglia, ma anche le botte e le umiliazioni del marito, quasi fossero uno dei compiti da assolvere quotidianamente.
C’è Marisa (Emanuela Fanelli), la sua amica del cuore, con cui condivide confidenze e momenti di leggerezza. Ma c’è anche Vinicio Marchioni nella parte di Nino, il primo amore di Delia, capace di suscitare sentimenti di tenerezza che non possono essere ignorati.

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Ritratto di famiglia

Ricordi in bianco e nero

Un giorno a Delia, che non aveva mai scritto nessuno, arriva una misteriosa lettera. E in quel momento comprende di avere una propria identità.
Una storia semplice, un racconto come tanti. Non è una storia di donne, quanto il racconto di un momento storico in cui le donne sono protagoniste. Paola Cortellesi porta sullo schermo delle storie di quelle che raccontavano le nonne, di quelle che si ascoltavano nei cortili dei palazzi, dove tutti sapevano tutto degli altri e dove anche le botte erano una consuetudine.

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André Bazin

Il film è girato in bianco e nero, perché questo è il colore dei ricordi, di storie di cui abbiamo immagini grazie a quel neorealismo che, se da una parte non c’entra niente con la cifra stilistica della Cortellesi, dall’altra portava sullo schermo le storie della gente povera, frustrata, ma anche desiderosa di riscatto all’indomani del secondo conflitto mondiale.
Il bianco e nero, come affermava André Bazin, trasfigura la realtà stilizzandola e rendendola evidente per sottrazione. E poi, proprio perché è il colore del ricordo, la soglia della coscienza rimane proiettata in quel tempo anche quando la colonna sonora ci riporta in un presente pop-punk-jazz.

Cattivi che non seducono

La linea dell’umorismo attraversa il film, soprattutto quella che ritrae i personaggi cattivi. Come ha affermato la stessa regista, solitamente la cattiveria rende i protagonisti affascinanti, quasi seduttivi. Cortellesi, invece, vuole sminuirli facendoli apparire ridicoli, quasi stupidi.
La violenza tra le mura domestiche è resa come una sorta di rituale, un balletto grottesco che normalizza una situazione cancellandone immediatamente i lividi, incapaci di lasciare segni. Cortellesi voleva proprio evitare l’effetto volgare di un voyeurismo che osserva dal buco della chiave le botte in casa altrui. Trasforma così, con maestria, la brutalità in un effetto kafkiano, rendendo alcune scene ancora più intollerabili anche grazie ad un effetto di straniamento.

E oggi c’è ancora un domani?

Forse è proprio la capacità di straniamento che consente a Delia di guardare in faccia la propria vita, liberare la figlia da un destino già segnato, di indossare il rossetto e andare avanti in una rivoluzione che, anche se a bocca chiusa, le ha consentito di autodeterminarsi.
Alla certezza di Delia di avere ancora un domani per portare avanti la sua rivoluzione aggiungerei un punto interrogativo: oggi c’è o potrà esserci ancora un domani per tante altre donne che, in altri paesi, nel nome dell’estremismo religioso, rischiano di trovare la morte ancor prima di aver realizzato la loro personale rivoluzione?

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