La quadara (il calderone) è una questione da prendere sul serio a Dipignano e in Calabria. Se non altro perché ospita la cottura di parti molto saporite del maiale, quadrupede culto e prelibatezza immancabile nella cucina e nell’immaginario dei suoi abitanti.
Dipignano è sempre stato, nei secoli dei secoli, il paese dei quadarari, i calderai, maestri abilissimi nella lavorazione del rame. Probabilmente sin dal 1300.

Roberto Farno: ultimo dei calderai di Dipignano
Oggi cosa resta di questa antica tradizione? Non poco, nemmeno tanto. Innanzitutto le mani grandi e callose di Roberto Farno, ultimo superstite di un mestiere in estinzione. La sua bottega è a Motta, parte bassa del comune a pochi chilometri da Cosenza. Abbastanza lontano dalla città per raggiungere e superare i 700 metri di altitudine. Roberto si cimenta anche con il ferro, che gli è «costato tre ernie». I cancelli li fabbrica e poi li prende di peso. Alla lunga persino Ercole avrebbe qualche problema alla schiena.
Suo padre è il “mitico” Franchino Farno. È stato calderaio, comunista e uomo incline all’ironia. Roberto ha appreso questa arte come i suoi fratelli più grandi, oggi «radiatoristi e meccanici alla Riforma», storico quartiere di Cosenza.
Rame e stagno, eccoli i due metalli intrecciati in una lunga storia di fatica e passione. Roberto racconta l’apprendistato iniziato a 16 anni e le prime tappe. In giro per i paesi il padre e i fratelli preparavano un piccolo fuoco per fondere lo stagno in piazza. E lui richiamava l’attenzione «iettannu ‘u bannu», diffondendo la voce per le viuzze.
Nell’economia domestica, fino a qualche decennio fa, non poteva mancare una quota da destinare all’involucro interno di pentole e calderoni. Oggi è tutto cambiato. In cucina il rame è utilizzato dai grandi chef. Il calore si diffonde in maniera uniforme a tutto vantaggio di una buona cottura. I costi, però, sono elevati. Roberto Farno ci parla del listino prezzi dei calderoni: per 80 cm di diametro in rame si spendono fino a 600 euro, in acciaio 250 e in alluminio appena 60. Ci sarà una ragione se il prezzo varia così tanto. Qualche commessa arriva da proprietari di ville e da chi ama creazioni uniche. Poca cosa ormai.
Il museo del Rame
Un pezzo di storia di Dipignano e dei suoi calderai vive ancora nel Museo del rame e degli antichi mestieri. È un viaggio a ritroso tra utensili e strumenti della bottega artigiana, fatiche e vita grama, oggetti quotidiani e libri. Compresi quelli scritti da Franco Michele Greco che ha ricostruito il cammino di una comunità.

Ammascante, la lingua dei calderai
I calderai erano un po’ alchimisti, custodivano gelosamente i segreti del mestiere. A tal punto da inventare una lingua, l’ammascante. Che significa, appunto: parlata mascherata. E i calderai erano mascheri, varvottari, erbari, mussi tinti. Tutti sinonimi.
Esiste pure un vocabolario grazie alle ricerche del glottologo John Trumper e della linguista Marta Maddalon, entrambi professori dell’Università della Calabria. Oltre 400 lemmi catalogati e spiegati con tutta la ricchezza di idee che solo due studiosi così attenti potevano restituire e donare alla memoria collettiva. Parole di questa lingua hanno contaminato il gergo dei calderai sardi a Isili. E altrove. Segno che gli artigiani di Dipignano hanno girato in lungo e in largo per l’Italia nei secoli passati.

Franco Araniti, poeta e scrittore di Gallico (Reggio Calabria), ha fatto tesoro di questo vocabolario. Arrivato a Dipignano per amore, non è più andato via. Uno “straniero” che scrive versi anche in ammascanti. Parole poi musicate dal Collettivo Dedalus in un album valso al gruppo musicale il secondo posto al prestigioso Premio Tenco.
Araniti, da attento osservatore, ha notato come questa lingua sia sopravvissuta pure nelle comunità dipignanesi in Canada. Dove, prima dell’avvento di Watt’s up, si scambiavano sms farciti di ammascanti. Un piccolo matrimonio tra nostalgia del paese natale e tecnologia. Manca solo una quadara sul fuoco. Magari a Montreal o Toronto qualcuno in giardino non rinuncia al suo pezzo di Calabria. Alla sua porzione di frittole.