Girolamo De Rada: il papà calabrese della Grande Albania

Il grande poeta arbëresh inventò la letteratura e il nazionalismo albanesi moderni. Dietro le vecchie lotte contro l'Impero Ottomano e le recenti rivolte dei kosovari contro i serbi c'è l'ispirazione di un poema, "I canti di Milosao", ricavato dalla tradizione orale delle nostre comunità albanofone. Ecco come quelle immagini poetiche sono diventate ideologia

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Forse fu un equivoco della storia. O forse l’effetto di un limite trasformato in forza artistica.
In ogni caso, Girolamo De Rada resta l’intellettuale italo-albanese di maggiore impatto a livello internazionale. Forse senza volerlo (o senza volerlo del tutto), De Rada è diventato il padre di due patrie, a cui ha fornito un immaginario e una lingua: l’Albania, che nell’Ottocento lottava per l’indipendenza dall’Impero Ottomano, e l’Arbëria, la comunità degli immigrati albanesi, stanziatisi nel Sud Italia a partire dalla metà del Quattrocento.
Ma perché tanta influenza? E, soprattutto, quali sono questi limiti?

Il Kossovo anni ’90

Tre nomi per una terra: i serbi, che l’hanno governata (e dominata) a lungo, la chiamano Kosovo, gli albanesi Kosova e, per non scontentare nessuno, la comunità internazionale la chiama Kossovo, che in tutti i casi significa merlo.
Questo fazzoletto di terra, a cavallo tra Albania, Serbia e Montenegro, è tuttora l’oggetto di una contesa fortissima tra gli albanesi, che la sentono loro, e i serbi, che la considerano la culla della loro civiltà.
Il Kossovo è stato il teatro iniziale della crisi che, a partire dagli anni ’90, ha travolto nel sangue la Jugoslavia di Tito ed è stato il territorio in cui si è consumata la fine della Federazione di Jugoslavia di Slobodan Milosevic, sotto le bombe della Nato.

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Hashim Thaçi, presidente del Kossovo, in visita a Macchia

La Grande Albania

In quel frangente tragico di fine millennio, quasi tutta la comunità internazionale ha criminalizzato l’etnonazionalismo serbo. Solo in pochi si sono accorti delle aquile bicipiti nere su sfondo rosso dell’Uck (il movimento di liberazione kossovaro), che riflettono tuttora un orientamento ideologico ben preciso: la Grande Albania, che dovrebbe includere, oltre al Kossovo, un pezzo di Montenegro e un po’ di Macedonia.
Quasi nessuno, infine, si è accorto che questa ideologia “panalbanese”, altrettanto pericolosa in quel contesto del “panserbismo”, non era autoctona. Ma era un’elaborazione Made in Italy, promossa da Crispi e poi sposata da Mussolini.
Torniamo a De Rada.

De Rada: il papà della patria

Girolamo De Rada non è mai stato in Albania. Ha trascorso tutta la sua vita tra Makj (cioè Macchia di San Demetrio Corone), dove nasce nel 1814, e Napoli, dove si laurea in legge ed è in prima fila nei moti liberali.
A Niccolò Tommaseo, che lo invita a visitare la madrepatria, risponde: lì non conosco nessuno. Ma, in compenso, nelle classi colte albanesi della seconda metà dell’Ottocento De Rada è un poeta di successo. Già: è il primo poeta a scrivere in albanese e non in greco.
Di più: per scrivere in albanese, De Rada inventa un alfabeto, che ricava da grafemi greci e latini. Basta questo per consegnarlo alla storia come il Dante degli albanesi (al di qua e al di là dell’Adriatico).rivista-de-rada

Ma questo primato è, appunto, il prodotto di un limite: De Rada, come racconta lo studioso Domenico Antonio Cassiano (Risorgimento in Calabria, Marco Editore, Lungro 2003), impara tardi l’italiano e lo userà sempre male.
Cosa ben diversa per l’arbëresh, all’epoca lingua essenzialmente orale (gli albanesi colti usavano il greco) che gli ispira i versi – e il patriottismo – del suo capolavoro: I canti di Milosao.
Il quale non è solo un poema: è il vagito della letteratura albanese moderna.

De Rada: il figlio del prete

Servono quattro “r” per capire Girolamo De Rada: religione, romanticismo, ribellione e retaggio.
Girolamo De Rada è un esponente tipico della media borghesia rurale. È figlio di Michele, il papàs (ovvero il parroco di rito greco-bizantino) di Macchia. La religiosità greco-bizantina di derivazione ortodossa è un dop dell’identità italo-albanese. Attenzione: solo di quella, perché gli albanesi d’oltre Adriatico sono invece islamizzati da secoli. Ma anche negli arbëreshë l’identità greca subisce smottamenti e tende a occidentalizzarsi.
La cultura romantica ha una grande influenza non solo su De Rada, ma su tutti gli intellettuali italo-albanesi della sua generazione. Per quel che riguarda la Calabria, questa cultura filtra alla grande, assieme al pensiero liberale, negli insegnamenti del collegio italo-greco di Sant’Adriano, istituito da papa Clemente XII a San Benedetto Ullano e poi trasferito a San Demetrio Corone. Nel caso di De Rada, una delle massime influenze è Byron, almeno secondo alcuni studiosi (Cassiano e Costantino Marco).

La targa commemorativa sulla casa natia di Girolamo De Rada

Il collegio di San Adriano, inoltre, è un focolaio di aspiranti rivoluzionari. Non è un caso che molti arbëreshë formatisi nel collegio italo-greco siano stati in prima fila in tutti i moti risorgimentali. Per formazione e anagrafe, De Rada appartiene alla stessa generazione di Agesilao Milano, l’attentatore di Ferdinando II, e, soprattutto, di Domenico Mauro, elemento di punta di quel microcosmo intellettuale e futuro esponente politico di primo piano.
Girolamo De Rada, infine, pesca a piene mani nella cultura orale e nelle leggende popolari dell’Arbëria, a cui dà per la prima volta dignità letteraria. Soprattutto, elabora un’immagine mitica della terra delle origini, l’Epiro.

I canti di Milosao

C’è sempre un poema alla base di una cultura. Ciò vale anche per gli albanesi moderni, che hanno ne I canti di Milosao una specie di Iliade 2.0.
Come da tradizione balcanica, I canti sono il classico drammone basato sul binomio amore-morte. Per la precisione, l’amore contrastato di Milosao, il figlio del despota di Scutari, per la figlia di un contadino.
E poi la morte del protagonista, nel frattempo rimasto vedovo, che avviene rigorosamente sul campo di battaglia contro gli Ottomani.

De Rada reazionario?

Dopo aver partecipato a più riprese ai moti liberali (e aver rischiato grosso), De Rada ha una conversione religiosa. O meglio, si riavvicina alla tradizione cristiana appresa tra le pareti di casa.
Il suo è, quindi, un patriottismo sui generis, piuttosto diffidente verso le istituzioni rappresentative e più legato alle tradizioni popolari. Alla Kultur, direbbero oggi quelli davvero bravi. Però è un nazionalismo in linea con il filone romantico (quindi i risorgimenti nazionali) e soprattutto, molto adatto alle culture balcaniche. Che proprio a fine Ottocento guardano all’Italia e alla Germania come modelli.

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Francobolli albanesi dedicati a Girolamo De Rada

L’Italia fa scuola

Il caso italiano ha fatto scuola due volte. La prima in maniera indiretta con la Serbia, che ottiene l’indipendenza dall’Impero Ottomano nel 1878 e inizia a considerarsi come una specie di Piemonte, capace di unire gli slavi del Sud.
Non è proprio un caso che il quotidiano di riferimento dei nazionalisti serbi tra il 1911 e il 1915 si chiamasse Pijemont.
Per l’Albania, invece, il rapporto è diretto e voluto e si basa su due elementi: le opere di De Rada e il collegio di San Adriano, che diventa una specie di Università per stranieri dei rampolli dell’Albania bene.
Il mito della Grande Albania è un’idea poetica che diventa propaganda. E su questa propaganda “grandalbanese” farà leva il fascismo per usare l’Albania in chiave antijugoslava, facendo perno proprio sul problema del Kossovo, come sostiene, tra gli altri, Marco Dogo nel suo Kosovo (Marco Editore, Lungro 1992).

Fascisti albanesi (dall’archivio dell’Istituto Luce)

Imperialismo

Ovviamente De Rada non ha alcuna responsabilità nell’uso politico, diretto e indiretto, della sua poetica. Né queste pratiche sono solo tipiche del fascismo, visto che tutti gli imperialismi le hanno utilizzate ampiamente.
Il nazionalismo altrui, inventato o adeguatamente stimolato, può far sempre comodo alle potenze imperiali o aspiranti tali. Come l’Italia a cavallo tra le due guerre, che posava a maschio alfa nell’Adriatico, o l’Urss e la Cina, che hanno ispirato – e sfruttato – non poco le rivolte anticoloniali del dopoguerra.
Con l’Albania, c’è da dire, il gioco italiano ha funzionato alla grande. Al punto che nessuno si scandalizzò né mosse un dito quando le nostre truppe occuparono il piccolo Paese balcanico. Anzi, ci fu chi commentò: è l’uomo che rapisce la moglie.

Enver Hoxha

La fine

È il 28 febbraio 1903. Il corteo funebre che accompagna De Rada per l’ultimo viaggio fa sosta vicino alla casa dell’amico di sempre, Domenico Mauro.
Al riguardo, c’è una leggenda popolare, mai confermata (me neppure smentita): proprio in quel momento, un mandorlo del giardino dei Mauro perde i petali, che si depositano sul feretro dell’illustre scomparso, il quale ha terminato la propria esistenza povero e solo, dopo aver rinunciato a una cattedra all’Orientale di Napoli.
Ma l’ispirazione dell’opera deradiana continua. Anche oltre il fascismo. Tra quelli che hanno apprezzato di più l’idea della Grande Albania c’è il dittatore Enver Hoxha, che ci ha giocato alla grande per tutelare il suo stato bunker dalle mire jugoslave.
Infatti, tra le poche aperture dell’Albania di Hoxha all’Occidente c’è l’invio di un busto commemorativo a San Demetrio Corone, nel 1986.
E allora nessuna meraviglia che in tutte le città calabresi ci siano quasi più dediche a De Rada che al mitico Skanderberg.

 

Questo articolo fa parte di un progetto socio-culturale finanziato dalla “Fondazione Attilio e Elena Giuliani ETS”. L’impegno de I Calabresi e della Fondazione Attilio ed Elena Giuliani è quello di arare il terreno della memoria collettiva e trovare le radici da cui proveniamo per riscoprire la fierezza di una appartenenza.

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