La sera del 7 novembre, domenica, il neoeletto sindaco di Cosenza, Franz Caruso, ha parcheggiato la sua Smart tra la biblioteca Civica e il teatro Rendano: è stato come appuntare una delle sue prime uscite pubbliche tra due simboli della decadenza culturale della presunta Atene della Calabria.
Da un lato la sede della gloriosa Accademia cosentina, dall’altro il teatro di tradizione dove si celebrava Astor Piazzolla a cento anni dalla nascita: due dei tanti contenitori in cerca di contenuti, nel tempo dissestato in cui par di capire che di “contenuto” ci dovrà essere solo il budget dedicato alla cultura.
Fine del prologo
Car* assessor*
O meglio, come sembra dovrà essere, car* consiglier* delegat*, il decennio di Occhiuto ha lasciato le macerie di un eventificio perpetuo di cui non resta alcuna traccia se non nelle lamentazioni social – anche postume – dei cosiddetti “odiatori” in modalità leoni da tastiera.
Il biennio della pandemia ci ha precipitati in un nuovo riflusso in cui in maniera direttamente proporzionale si sono ristretti gli spazi pubblici di incontro e confronto e dilatati quelli della fruizione domestica – serie tv ma anche musica e persino mostre.
Eppure Cosenza aveva iniziato a desertificarsi ben prima dell’emergenza Covid: ai lustrini dell’isola pedonale puntellata di opere d’arte e degli stand in centro o lungo il fiume ha fatto da contraltare il depauperamento dei simboli stessi di quella che si beava di essere l’Atene della Calabria, appunto, che per nemesi è stata scavalcata da Vibo capitale del libro, tanto per dirne una.
Caro assessore o consigliere delegato alla Cultura, fondi permettendo ci sarà da intervenire anzitutto sui teatri cittadini: Rendano, Morelli e Italia giacciono come pachidermi fiaccati da una lunga agonia giunta, per paradosso, proprio dopo la rinascita strutturale, e quasi bisogna ringraziare i privati che con stagioni mainstream quanto si vuole almeno li tengono in vita.
Al Rendano non si produce prosa dal 1990 – una volta decaduto il Consorzio teatrale –, lo stesso stallo riguarda la lirica ora che si è perfezionata la mutazione degli enti lirici in fondazioni lirico-sinfoniche (solo 2 su 14 hanno sede al Sud).
A un assessore o consigliere delegato – o consigliera delegata, come pare in queste ore più probabile – si chiede di mettere in campo un progetto fattibile con cui cercare di accedere ai finanziamenti statali (il famoso Fondo unico per lo spettacolo del ministero della Cultura), per cui è richiesto un periodo di attività continuativa che al momento latita.
Anche in questo caso converrebbe guardarsi attorno con umiltà, ispirarsi magari a esempi virtuosi nella gestione di strutture magari con meno storia ma più visione: dalla Fondazione che gestisce il Politeama di Catanzaro alla grandeur del nascituro (?) Museo del Mediterraneo impreziosito dal waterfront di Zaha Hadid a Reggio Calabria. Per ora un rendering magniloquente quanto il Museo di Alarico alla confluenza Crati-Busento.
Cosa c’era, cosa c’è
«A Cosenza (…) non c’è il problema di un assessore nuovo, manca invece il dibattito, la discussione politica e culturale e conseguentemente le scelte: quale cultura, quale arte, vogliamo per la nostra città?»: così Radio Ciroma nella lettera aperta “Per la cultura a Cosenza non serve un assessore ma una discussione”.
Si sa che, soprattutto a sinistra, il “dibbbattito” (no, il dibattito no!) finisce spesso per trasformarsi in una paludosa riunione di autocoscienza che si inviluppa, si invischia e involve fino alla produzione del Documento Finale; seguirà buffet.
Eppure per chi ricorda Petrucciani al Rendano, Ferlinghetti o Kusturica alla villa vecchia, i concerti di Lou Reed e Patti Smith o i tamburi del Bronx all’ombra dell’attuale ponte di Calatrava (nell’estate 1998 un totem più futuribile del planetario) fare un confronto con l’offerta culturale di oggi è alquanto desolante.
Non va meglio se si cercano luoghi di aggregazione.
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Dal momento che la neo eletta maggioranza non ha fatto mistero di rivendicare una impronta socialista e un legame con la rinascita manciniana – ben più della discutibile trovata grafica nel manifesto elettorale di uno dei candidati sindaco Civitelli –, al netto delle ristrettezze di cassa sarebbe allora il caso di ripartire da alcuni dei luoghi (pubblici) in cui il sindaco già ministro e segretario del Psi individuò altrettante opportunità di ripartenza, tanto più in questa fase post-pandemica.
Senza bisogno di scomodare le Invasioni – davvero un precedente troppo ingombrante benché recentemente brutalizzato come si sfregia un monumento – è il caso di citare almeno la Casa delle culture e la Città dei ragazzi: un non-luogo nel palazzo un tempo sede del municipio e un unicum che, nella zona nord della città, dopo vent’anni non riesce a trovare una identità per imporsi (tra i cubi di via Panebianco, di recente la lodevole iniziativa Bibliohub con le scuole).
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Ora che si avvicina il primo Natale de-cerchizzato è forse il caso che dal dissesto locale e dalla crisi globale venga nuova linfa: crisi deriva dal greco krino, ovvero decido, ed è nei tempi peggiori che possono nascere le cose migliori.
Qualcosa in realtà a Cosenza non ha mai smesso di muoversi, e proprio nel centro storico che crollava sono nate nicchie di resistenza come Gaia, Arcired e Coessenza; ma altrettante premesse non sono diventate fatti: il Bocs Museum e la Casa della Musica forse sono gli esempi più lampanti di un torpore che prelude al fallimento pubblico.
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Conclusioni
L’impressione è quella di una città che non fa tesoro delle proprie potenzialità. A cinquant’anni dalla nascita, l’Unical resta un oggetto misterioso per la comunità eppure indicizzato tra le eccellenze accademiche italiane.
Altri fiori all’occhiello come il Conservatorio musicale “Stanislao Giacomantonio” continuano ad operare con non poche soddisfazioni e ricadute sociali oltre che culturali (con il decreto del Fus 2022 è stato peraltro annunciato dal ministro Franceschini un contributo straordinario per la nascita di orchestre stabili), così come alcuni premi (il “Sila ‘49” e quello per la Cultura mediterranea organizzato dalla Fondazione Carical) contribuiscono almeno ad ampliare lo sguardo oltre la dimensione strapaesana dei consumi culturali.
C’è una città che in questi anni ha continuato a lavorare nel silenzio e nell’ombra, ma con impatto e seguiti invidiabili, senza pietismi e lamentazioni: forse adesso chiede solo di ricevere, se non riconoscenza, almeno un po’ di ascolto.