Nel 1865, alcuni cosentini fondarono un’associazione clandestina per promuovere una rivoluzione sociale. La maggior parte degli aderenti cinque anni prima aveva partecipato alla spedizione garibaldina e altri avevano militato nelle associazioni segrete mazziniane come la Falange Sacra. In un dettagliato documento redatto in una riunione tenutasi a Cosenza i rivoluzionari elencarono i punti fondamentali dell’organizzazione:
- abolizione del «diritto divino, diplomatico e storico»;
- rinunzia a ogni idea di «preponderanza nazionale»;
- federazione dei comuni e delle nazioni;
- abolizione della proprietà e dei privilegi;
- eguaglianza politica dei cittadini;
- emancipazione del lavoro dal capitale;
- la terra ai contadini e i mezzi di produzione agli operai.
Per il suo programma insurrezionale la “Democrazia Sociale” operò nella più rigorosa clandestinità. Gli aderenti comunicavano con nomi di battaglia e si organizzavano in luogotenenze e sub-luogotenenze. L’obiettivo della società era la rivoluzione socialista. Ma per realizzarla bisognava distruggere il prestigio di Mazzini e Garibaldi che, pur avendo fatto tremare i tiranni, avevano portato il popolo su vie sbagliate. Certo, erano due uomini «immortali» che si erano battuti con grande coraggio. Ma il primo vagheggiava un programma che non affrontava i problemi sociali. E il secondo aveva sconfitto il re borbonico per consegnare il paese a un re sabaudo.
La rivoluzione a Cosenza, Mazzini e Garibaldi
In un documento spedito agli adepti dell’associazione si legge a questo proposito:
«Fratello! La nostra missione è ridurre l’uomo né suoi diritti naturali presso la umanità di Libertà ed uguaglianza, prima libertà, e di conseguenza l’uguaglianza. Per ottenere questo fine sacrosanto i mezzi sono i capi del programma, perché il primo assalto alla uguaglianza fu portato dalla proprietà, il primo assalto alla libertà fu portato dalle società politiche e dai Governi. I soli appoggi della proprietà e de’ Governi sono le leggi religiose e civili. Dunque, per ristabilire l’uomo né suoi diritti primitivi di Uguaglianza e di libertà, è necessario incominciare dal distruggere ogni religione ed ogni società civile, e terminare coll’abolizione della proprietà. Il latore se le conviene, sarà il legionario nostro anello.
Dovrà francamente ed energicamente Ella studiarsi come distruggere il prestigio de’ due nomi immortali di Mazzini e Garibaldi, perché l’uno prese fin dal primo momento falso indirizzo, e con tutto ciò fece impallidire e tremare il foglio e il cuore de’ tiranni, ma non ristabilì l’uomo né suoi bisogni primi naturali e né secondi sociali, secondo bell’anima, ma moncamente servì il Paese ma collocò il tiranno in sulla sedia, ed il prestigio suo allucinò anche la mente nostra dal braccio che donava al tiranno. Ora il compito dè nostri guai è spento, ed incomincia l’era della luce, e noi faticando su di un difficile apostolato dobbiamo ridurre tutto il falso al vero, e combattere fino a morire l’ignoranza e la superstizione».
Morte alla monarchia e a chi la difende
E in un altro documento approvato in un convegno della Luogotenenza di Cosenza e le subluogotenenze di Rogliano e Paola si legge:
«La Luogotenenza del Cosentino, e sue Subluogotenenze fan pieno plauso al programma della Democrazia Sociale e fan loro bensì la circolare di Cotesto C.C. che ha per iscopo di combattere il falso indirizzo di Mazzini. È indubitato che questo grande uomo ci fa la guerra: però più che col fatto col nome (almeno per quanto si può giudicare da noi ed in questa continenza Calabra Cosenza) e questo nome ci farà vieppiù la guerra che credesi di accordo con Garibaldi, ed il popolo ricco di affetti, e di devozione e pur di ingegno più che di intelligenza atteso che manca lo svolgimento intellettivo e di associazione al solo nome di Garibaldi cede ad ogni gloria ed anche alla propria salute: ci è che anzi tutto bisogno inerente alla nostra costituzione facessimo conoscere ai fratelli della nostra residenza centrale, che stante Mazzini ci ostacola colle idee e coi falsi indirizzi. Garibaldi involontariamente ci ostacola col suo prestigio che porta seco, entusiasmo perpetua anche alle colte intelligenze come colui che in faccia a Mazzini che rappresenta l’idea della sfera del vuoto, desso rappresenta il moto nel campo del fatto, perciò il nostro voto è di conciliare per tutta la nostra continenza i Garibaldini all’opera nostra. Ed è certo che Garibaldi ci può essere forza e luce, senza intelligenza, senza mente socialista un’ente della rivoluzione che serve col suo braccio a rendere per altro tempo esistente la monarchia in Italia, ma il suo fine è quello di liberare il popolo, ma che per altro non fa creare una rivoluzione che compia il bene di questo immiserevole popolo, anzi la conseguenza del fatto suo lo agghiaccia dippiù.
Ma è ora terribile fatale ora, che ci annunzia che dinnanzi che ci scorre, che ci passa come fulmine un atomo di momento che tutti noi dovremmo metterci alla videtta di affermare per la causa del popolo e non farlo scorrere innanzi indolentemente per abbracciarlo quella stregona monarchia che non ci farebbe rendere il capo a quel suo vecchio infame crudo che ha la testa cornuta che i privilegiati adorano, e fanno rispettare col sacrilego nome di Diritto Divino. Non bisogna in questo momento solenne di libera associazione radergli i peli per poi spuntarli più duri e feroci. Si distrugga una volta questa idra con miliardi di teste. Bisogna che ci cooperiamo tutti che questo momento fatale destinato dai tiranni a pro loro per l’ignoranza del popolo tanto dia ora per opera della luce nostra, latte, a quella sopirata bimba, libertà.
Morte alla monarchia, sterminio a chi la difenda, l’unico grido sia questo, ed in tutti i punti dello spazio la voce del fratello nostro predichi, che i diritti essenziali che l’uomo ricevette dalla natura, nella sua perfezione originaria e primitiva sono l’uguaglianza e la libertà, che il primo assalto a questa uguaglianza fu portato dalla proprietà, ed il primo assalto alla libertà fu portato dalle società politiche e dà governi, i soli appoggi della proprietà e dè governi sono le leggi religiose e civili, che per ristabilire l’uomo né suoi diritti è necessario incominciare dal distruggere ogni religione ed ogni società civile e terminare coll’abolizione della proprietà.
Siffatta formula la nostra società deve predicerla fino ad avere l’audacia di farla inserire fra gli atti alla Regia dè tiranni. Fratelli prendete in considerazione che questa terra del cosentino, misera di mezzi come è, ma ricca di individui forti di spirito e di audacia è tutta pronta a sostenere la vita e la pace ad una siffatta iniziativa di rivoluzione democratica-sociale, e ricordatevi che fu l’unica terra fra tutto il mondo che ha protestato senza interruzione in faccia all’umanità contro la proprietà e contro la tirannia della monarchia».
Cosenza, spie e rivoluzione
Nel giugno 1866, probabilmente in seguito a una spiata, la polizia effettuò perquisizioni in casa di alcuni rivoluzionari. In quella di Gregorio Provenzano trovò documenti e piani per l’insurrezione. Il giovane, impiegato nello studio di un avvocato, fu arrestato, richiuso e interrogato nelle carceri della città. Al processo alcuni testimoni dissero che era un scrivano competente, onesto e gentile. Ma aggiunsero anche che «viveva in una tale stranezza e una tale confusione che si rendeva incomprensibile».
Uno di loro disse ai giudici: «Facendo il Provenzano il giovane di studio del G. Marini ha frequentato vari giovani forniti di varie cognizioni e ascoltando or da uno or dall’altro nei discorsi qualche idea o qualche principio scientifico si à infarcito la mente di tante idee che han formato nella di lui mente un guazzabuglio tale da non potergli credere. Per lui non vi ha proprietà, non vi è Iddio, l’uomo deve far tutto per l’amore del prossimo, non può esser né cittadino né suddito ma deve vivere secondo viveva nei primi giorni della creazione».
Cospirazioni e intelligenza
Nel corso degli interrogatori, il giovane Provenzano ammise di aver fatto parte dell’associazione sovversiva. Cercò, però, di sminuire l’attività del gruppo e confessò di aver vagheggiato astratti ideali in un momento difficile della sua vita. A differenza di quanto era scritto nei documenti della società sul carattere indomito dei cosentini mostrato durante i moti risorgimentali e la spedizione garibaldina, il giovane scrivano affermava: «Io sono innocente dell’imputazione che mi si addebita, poiché non ho mai cospirato né attentato sapendo benissimo che le cospirazioni non si fanno individualmente con se stesso ma unitamente ad uomini di alta intelligenza che in questa nostra terra di Cosenza non se ne trovano».