C’era La Niña (e non solo) e cantava anche bene: tanto di cappello alla sua virata finale sull’acustico, scelta intelligente vista l’esiguità dei presenti.
C’era pure la pinta: con 5 euro potevi prenderne una di birra fresca in una Villa vecchia con quasi più bagni chimici che avventori, a pochi metri da una pleonastica distesa di forze dell’ordine intente a controllare il deserto.
Ma nemmeno la Santa Maria avrebbe potuto compiere il miracolo di riempire piazza XV marzo a Cosenza venerdì per la seconda serata del redivivo Festival delle Invasioni. Non c’era riuscita, d’altra parte, nemmeno la laica quanto magica parola capace di attrarre a tutte le latitudini masse da ogni dove: gratis.
Conferma inequivocabile che Cosenza e l’arte vivono da tempo una relazione complicata.
Top of the flop
Il “dramma della solitudine” si era consumato già la sera prima, con una diserzione di massa epocale: meno di 30 biglietti venduti e Rendano Arena – così avevano ribattezzato l’area ai piedi della statua di Telesio per l’occasione – che, complici le temperature, ricordava più il Sahara che un concerto in piazza. Un risultato per Cosenza paragonabile in altri ambiti solo a successi come il primo viaggio del Titanic o al Mineirazo ai Mondiali brasiliani del 2014.
Così da Palazzo dei Bruzi avevano provato a mettere una pezza a poche ore dal probabile secondo, tragico, vuoto: niente più biglietto da pagare e ingresso libero come in tante edizioni del passato. Toppa tardiva e, secondo molti, peggiore del buco. Comunque di dubbia utilità: queste Invasioni a Cosenza avevano fatto storcere il naso prima ancora che cominciassero, tant’è che gli spettatori sono sì decuplicati rispetto alla sera prima, ma sempre 2-300 (poliziotti, infermieri e artisti inclusi) in tutto saranno stati i presenti nei momenti di piena.
Il Comune di Cosenza: Invadete Invasioni!
Il primo a temere il fiasco era stato, su queste stesse pagine, il consigliere comunale di Cosenza che più si era impegnato nell’organizzazione di queste Invasioni, Francesco Graziadio. Avvertiva «una certa diffidenza per i nomi non proprio conosciutissimi» nei giorni scorsi e non si sbagliava. Impossibile non notarlo lì in prima fila, la birra mezza vuota, appoggiato alle transenne con sguardo sconsolato.
Attorno a lui nessun big dell’amministrazione, soltanto quei pochi cittadini che avevano risposto al disperato appello sui social del Comune di poche ore prima seguito al flop di giovedì sera: «Oggi è importante che sia la nostra città ad invadere il suo festival, riscoprendo non solo le avanguardie musicali presenti in cartellone, ma soprattutto facendo proprio un appuntamento che acquista il suo senso solo grazie alla presenza e alla partecipazione».
Tutta colpa del biglietto?
L’appuntamento con l’acquisizione di senso al momento è rimandato al 2024, presenza e partecipazione hanno optato per altri programmi serali. In compenso, non mancherà il tempo per riflettere su una serie di errori da non ripetere in futuro.
Non tanto quello di aver chiesto di pagare un biglietto (con l’immancabile codazzo di polemiche a riguardo): a Cosenza i ticket per Invasioni non sono una novità assoluta, sebbene la stragrande maggioranza delle venti edizioni precedenti siano state interamente gratuite.
E forse nemmeno quello di aver puntato esclusivamente su nicchie musicali di indubbio valore per gli appassionati del genere, ma non certo calamite di folle oceaniche. I grandi nomi a Invasioni ci sono sempre stati, ma a Cosenza si sono esibiti anche artisti meno noti eppure capaci di attirare e conquistare lo stesso il pubblico. E quelli di quest’anno non avevano nulla da invidiare ad altri colleghi passati dal medesimo palco in precedenza.
Cosenza, tu chiamale se vuoi… Invasioni (ma erano altro)
Il vero problema, probabilmente, è che le Invasioni – e non da questa edizione – sembrano sempre più solo un brand per Cosenza. Un’etichetta da appiccicare a un concerto estivo qualsiasi– che la musica sia alternativa o commerciale poco conta – convinti che solo di quello si tratti. E che basti solo quello perché vada tutto bene. Tra i pochi in piazza ieri erano in tanti a ripeterlo, un motivo ci sarà.
Non c’entra la nostalgia, è proprio lo spirito del festival a essere ormai un fantasma. Era successo con Mario Occhiuto sindaco, seppur a piazze piene, tant’è che si era affrettato a richiamare Franco Dionesalvi nell’organizzazione nel tentativo di rimediare. E si è ripetuto anche stavolta sotto Franz Caruso.
Una volta il Festival delle Invasioni si protraeva per giorni, tra iniziative (non solo concerti) disseminate per Cosenza: l’arte, il confronto, l’incontro con culture differenti invadevano, appunto, la città, la contaminavano in positivo. Ora l’obiettivo – rispettabile, certo, ma non altrettanto nobile – pare sempre ridursi al far lavorare i commercianti attorno alla piazza e al dire «da noi ha suonato il celeberrimo Tizio o Caio» perché fa figo.
Invasioni sui social? Brescia – Cosenza
E poi c’è la questione della promozione. I nomi in cartellone sono usciti a pochi giorni dall’inizio del festival. Impossibile trovare al concerto qualcuno che confermasse di aver visto un manifesto sull’evento da qualche parte. Perfino sul palco non c’era il logo del Festival delle Invasioni, quasi quella serata a Cosenza vecchia non avesse nulla a che fare con la kermesse.
Nemmeno una mezza foto su Instagram, sebbene servisse forse a poco, dato il numero di followers della pagina del Festival: 383. Poco più attiva la pagina Facebook/Meta: una decina di post dal 28 giugno a questo articolo, non esattamente un bombardamento mediatico. Twitter non pervenuto. Quanto a Tik Tok, se cerchi qualcosa su “Invasioni” e “Cosenza” trovi i video dei bresciani inferociti sul prato del Rigamonti dopo il goal salvezza del rossoblu Meroni ai playout di serie B.
Son soddisfazioni, ma basteranno per lanciare un festival che inizia un mese e mezzo dopo quella partita?