Rappresentato come un omaccione di paglia vestito in maniera goffa e bizzarra, Carnevale era sistemato su un carretto trainato da un mulo per le vie del paese. Lo seguiva una folla di gente che fingeva di piangere fino in piazza, dove il fantoccio era bruciato. Nelle rappresentazioni teatrali, moribondo per colpa del troppo cibo, rosso in viso e con una pancia grossa, Carnevale faceva testamento con la disperazione della moglie Quaresima.
Carnevale, tuttavia, non si mostrava pentito degli stravizi alimentari e chiedeva di essere sepolto tra salsicce, soppressate, prosciutti e maccheroni. Rappresentava la fame delle classi subalterne che, dopo aver mangiato durante l’anno minestre e legumi, potevano finalmente sfamarsi di carne. Miegliu mora saziu ca campare dijunu, a trippa è nna rizza: chiù ci minti, chiù ci cape e chini dijuna due mali fa: l’anima perda e aru ‘nfiernu sinni va: durante la ricorrenza si mangiava carne e si beveva vino in quantità. Ma a quei giorni licenziosi e abbondanti sarebbe seguita la Quaresima, lungo periodo di astinenza e prolungati digiuni.

Il Carnevale di Alesandria del Carretto
Nei giorni di Carnevale ad Alessandria del Carretto si celebrava invece la festa dei Pulcinella belli e brutti. Accanto al corpo apollineo dei Belli, espressione di eleganza e apparenza, vi è il corpo dionisiaco dei Brutti, espressione di materialità e istinto. I Brutti, dall’aspetto grottesco e terrificante, camminando curvi come fossero storpi, scatenano scompiglio e paura; i Belli, dall’aspetto seducente ed enigmatico, danzano con grazia e si avvicinano alla gente con fare gentile.
I Belli del Martedì grasso
Il Martedì grasso, assistiti da familiari e amici, i Belli indossano pantaloni «millerighi» infilati in ghette di cuoio, scarponi scuri, guanti neri, cravatta e camicia bianca su cui appuntano fazzoletti da taschino e da borsetta; coprono le spalle con pregiati scialli colorati che durante la danza, allargando le braccia appaiono come due grandi ali d’uccello; uno scialle viene fissato a mo’ di grembiule mentre altri, più leggeri e piccoli, vengono fermati sul petto in modo da scendere sulle cosce. I giovani coprono il viso con una maschera di legno tenuta per mezzo di legacci e sulla testa pongono un ingombrante copricapo, detto cappellett, ornato con fiori di stoffa, penne di gallo sgargianti e nastri colorati che cadono lungo le spalle; al centro del copricapo è fissato uno specchio da cui penzola una collana di perle e dietro la schiena, all’altezza della vita, è legato un grosso campanaccio.

Tra i vicoli del paese con i policinel
Ultimata la vestizione, i policinel escono furtivamente di casa per riunirsi con le altre maschere e con u gegand, il più alto di tutti. In gruppo vanno a prendere a zit, la sposa, con il volto coperto da un foulard e vestita con abito cerimoniale. Le maschere girano per i vicoli del paese piroettando in cerchio al suono degli strumenti per arrivare nella piazza centrale dove a turno danzano con la sposa. Di tanto in tanto un policinel si stacca dal gruppo e, continuando a danzare, sfiora con lo scriazz, bastone di legno da cui pendono pon pon di lana, il seno delle donne e i genitali degli uomini.
Sul calar del sole giungono i Policinel layed. Vestiti con stracci e vecchi abiti, hanno il viso coperto da fuliggine, si muovono disordinatamente, buttano cenere sulle persone, si avvicinano alle ragazze con gesti sconci, fanno scherzi di ogni genere e parlano camuffando la voce per non farsi riconoscere. All’arrivo dei Layed, i Biell lasciano la piazza e attraversano i vicoli della parte bassa del paese, sino ad arrivare alla zona detta Timbonerie. Da qui, dopo aver tolto la maschera lignea, si recano per mangiare e bere nelle case di parenti e amici.
Dove la neve arriva fino ai tetti delle case
Alessandria del Carretto è un piccolo paese di montagna situato alle pendici del Pollino, accessibile in passato solo a piedi o con asini e muli. Nei mesi invernali, quando calavano le tenebre, il villaggio era avvolto da un silenzio inquietante. Un manoscritto del XVII secolo ci informa che gli abitanti «pativano estremamente, e cioè di gran freddo per li grandi jacci» e la neve spesso «giungeva a ricoprire le porte e finestre delle abitazioni ed arrivare a passare li tetti». Gli Alessandrini desideravano che il cupo inverno andasse via al più presto e aspettavano con ansia febbraio, mese in cui veniva «febbre alla terra» e ai primi tiepidi raggi di sole tutto cominciava a fremere e rianimarsi.

Nietzsche ad Alessandria del Carretto
La messa in scena dei Belli e dei Brutti può essere considerata, come scrive Nietzsche, il primo richiamo dionisiaco che ribolle dal folto di un cespuglio al risveglio della primavera. Era un rito di passaggio stagionale volto ad assicurare la rinascita della vegetazione; un cerimoniale di buon augurio per il nuovo ciclo dell’anno; un espediente per superare sul piano simbolico le frustrazioni accumulate durante i mesi freddi.
La ritualità si celebrava per propiziare fertilità, espellere il male e rigenerare il mondo. Il calpestio dei piedi e il suono di campanacci, ciaramelle, tamburelli e organetti destavano la terra dal sonno dell’inverno; la danza delle maschere incessante ed estenuante solennizzava l’evento del risveglio; la ricchezza del costume e il copricapo ricco di fiori e nastri colorati erano un inno alla primavera; la presenza della sposa stimolava le forze creatrici e riproduttrici della natura; lo scriazz era simbolo di potere e organo di rigenerazione; lo specchio sul copricapo rifletteva la luce e accecava agli spiriti maligni.

Nessun ribaltamento del potere
Costretti a stare per lungo tempo chiusi nelle case a causa dell’inverno rigido e buio, gli abitanti a Carnevale avevano finalmente la possibilità di stare all’aperto, evadere dalla dura vita quotidiana e vivere il tempo della festa. La messa in scena dei Belli e Brutti è indenne dalla retorica dei sentimenti e dell’impegno sociale. Non si propone di risolvere conflitti morali o suggerire modelli comportamentali. Le maschere non sono preoccupate di dare un senso a ciò che fanno e gli spettatori non ne cercano il significato.
Il fine della rappresentazione teatrale dei Pulcinella è quella di ricreare un’atmosfera di gioia e paura che popola i sogni degli uomini, offrire sensazioni d’illusione e incantesimo, dare spazio a quell’irrazionale che abita nelle profondità dell’anima, trasportare uomini e donne in un universo ignoto alla ragione. I Brutti operano una mortificazione del corpo in senso grottesco. Non hanno cura dell’estetica, vestono colori scuri, tingono il volto di fuliggine, gettano cenere sulla gente, ballano senza grazia e si abbandonano a parole scurrili. I Belli, al contrario, accompagnati dalla musica danzano con eleganti movimenti che sembrano evocare presenza e assenza, avvicinamento e allontanamento, movenze che ricordano quelle dei fieri galli.
Apollineo e dionisiaco sul Pollino
La rappresentazione dei Policinel, erede di antiche consuetudini, ha perso probabilmente i caratteri trasgressivi. Ma ancora oggi, sospendendo il corso lineare del tempo quotidiano, segna l’irrompere del tempo festivo e stabilisce una tregua nella quale ogni violazione è lecita. Entrando nello spazio e nel tempo provvisorio del Carnevale, i giovani vivono una corporeità apollinea e dionisiaca: da una parte arte, solarità, sogno e magnificenza dei Belli, dall’altra istinto orgiastico, materialità, buio e goffaggine dei Brutti.
Il teatro dei Policinel è quello della fiaba, della magia e del fantastico, una messa in scena che racconta la storia del male e del bene: il primo è rappresentato da creature ctonie, rappresentanti del buio e dell’inverno, il secondo da creature solari, simboleggianti la luce e la primavera. Nella rappresentazione non è tuttavia prevista una risoluzione del conflitto, Belli e Brutti non vengono a contatto, sembrano ignorarsi ma sono profondamenti legati. Apollo e Dioniso non si pongono come antitesi, ma come doppio. L’uno non è il contrario dell’altro, ma l’altro volto: caos e ordine si danno convegno senza annullarsi, la bellezza apollinea e la sfrenatezza dionisiaca stanno l’una accanto all’altra.