Un paese felice: Carmine Abate riscopre Eranova

Lo scrittore arbëreshë racconta nel suo ultimo libro, presentato a villa Rendano, la storia del borgo reggino, demolito nei primi anni '70

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Una tappa importante di un tour particolare: Carmine Abate ha presentato, il 25 novembre a Villa Rendano, Un paese felice, il suo ultimo romanzo uscito per Mondadori a fine ottobre.
Sala piena nella sede della Fondazione “Attilio e Elena Giuliani” per ascoltare il dialogo dello scrittore di Carfizzi con Antonietta Cozza, consigliera comunale di Cosenza delegata alla cultura. In più, un piccolo tocco di internazionalità che non guasta: la presenza in prima fila di Lendita Haxhitasim, l’ambasciatrice del Kossovo in Italia (tra l’altro formatasi all’Unical).
Un segno come un altro che la cultura arbëreshë (di cui Abate fa parte a pieno titolo) è un elemento di primo piano nei rapporti tra l’Italia e i Balcani.

La presentazione di “Un paese felice” a Villa Rendano

Una storia italiana di Carmine Abate

È più di un mese che Abate gira l’Italia per raccontare il suo paese felice, ovvero la vicenda di Eranova, un borgo rurale della periferia di Gioia Tauro, distrutto nei primi anni ’70 per consentire l’allargamento del bacino del Porto e la creazione del quinto polo siderurgico.
In altre parole, l’eterno baratto tra ambiente (e salute) contro sviluppo. È senz’altro una storia meridionale (e calabrese in particolare). Ma è anche la storia di tutto il Paese, pieno di cimiteri industriali e di borghi deserti da Nord a Sud: il lascito di un sogno di benessere non sempre affrontato con la consapevolezza dovuta. Ma forse, ha spiegato lo scrittore durante l’incontro di Villa Rendano, per Eranova non è stato davvero così.

Amore e altre battaglie 

«Mi sono imbattuto nella storia di Eranova anni fa, quasi per caso», ha spiegato Carmine Abate durante la sua conversazione con Antonietta Cozza.
Questa storia consiste in due righe sul sito istituzionale del Comune di Gioia Tauro e in una voce di Wikipedia dedicata alla stazione ferroviaria che serviva il piccolo centro, soppressa nel lontano 2023.
Tutto il resto, ha specificato lo scrittore deriva da fonti orali (le consuete memorie degli anziani) e da documenti d’epoca, inclusi i ritagli dei giornali.

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Da sinistra, Carmine Abate e Antonietta Cozza

Ma, in un romanzo, ciò che fa la differenza è il racconto. E Un paese felice non fa eccezione. Anzi.
«Ho deciso di raccontare questa vicenda non con gli occhi degli abitanti, ma di un testimone coinvolto emotivamente», ha spiegato ancora Abate. È Lorenzo, universitario calabrese fuori sede a Bari, che s’innamora di Lina, altra universitaria calabrese. Lina si batte per salvare la sua Eranova, pronta a cadere sotto le ruspe attivate dal pacchetto Colombo.

Eranova: da una ribellione all’altra

Lina e i suoi compaesani si battono a fondo e le provano tutte per salvare il borgo e le sue piantagioni, che comunque danno un po’ di benessere.
Non potrebbe essere altrimenti per una comunità nata a fine ’800, in seguito alla ribellione di un gruppo di massari al feudatario del luogo.
Nata da una ribellione, Eranova muore ribellandosi. Gli eranovesi picchettano il territorio, si frappongono alle ruspe e alle escavatrici e protestano come possono e sanno.
Lina scrive tantissimo, anche al presidente della repubblica e ad Andreotti, allora presidente del Consiglio e a Pasolini, conosciuto per caso in una libreria di Bari.
Ma è tutto inutile. Tranne che per l’amore. Lorenzo la segue e capisce il perché di tanto accanimento, quasi terapeutico.

La copertina di “Un paese felice”

Tradizione vs Modernità secondo Carmine Abate

«Non è il solo il consueto binomio tradizione-modernità, che anima le proteste degli abitanti di Eranova e, quindi, la lotta di Lina», racconta ancora Abate.
La distinzione può essere più sottile e riguarda due modi di concepire lo sviluppo. Da un lato l’industrializzazione pianificata da fuori e calata dall’alto, quindi poco rispettosa delle vocazioni del territorio.
Dall’altro, invece il desiderio di far crescere la comunità nel rispetto delle sue tradizioni. A nulla di diverso si è riferito Abate nel corso della discussione di Villa Rendano: «L’economia agricola, alla fin fine, ha consentito a Lina e Lorenzo di studiare fuori sede: segno che comunque generava da sola un certo benessere. Una piccola sicurezza a cui gli eranovesi non volevano rinunciare in cambio di iniziative di cui non percepivano bene il senso. Di più: che temevano si sarebbero risolte in un salto nel buio». O nel vuoto, visto che il centro siderurgico non si realizzò.

Una fine che sa di beffa

«Altrove, anche in Calabria, siamo pieni di cimiteri industriali, è vero. Ma si trattava dei ruderi di industrie che, almeno avevano funzionato. Ciò non si può dire per Gioia Tauro, che oltre al danno ambientale ha subito la beffa di cattedrali nel deserto mai entrate in funzioni», ha proseguito Abate.

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Da sinistra, l’ambasciatrice Lendita Haxhitasim e Walter Pellegrini, presidente della Fondazione Giuliani

Un paese felice racconta gli ultimi sussulti di dignitosa agonia di Eranova sotto le mentite (ma non troppo) spoglie della storia d’amore e del romanzo storico carico di esistenzialismo.
Il tutto, ha aggiunto Cozza, «impreziosito dal linguaggio particolare dello scrittore di Carfizzi: potente, creativo e – a modo suo – virtuosistico». Le espressioni gergali arricchiscono un racconto robusto e sobrio. Ma soprattutto avvincente.
«Il finale di questa storia è noto, perché fa parte delle cronache», ha concluso Carmine Abate. Eranova fu demolita e i suoi abitanti “dispersi” nelle zone vicine, con l’aiuto dell’edilizia pubblica.
Ma la storia è solo una componente di un romanzo storico. Il resto, cioè le vicende dei personaggi che interpretano (e attualizzano) questa storia, fa parte del romanzo.
Ma, come giustamente ha detto in chiusura Antonietta Cozza, meglio non anticipare altro…

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