Sono trascorsi 50 anni da quel giorno del 1972 quando Stefano Mariottini, un appassionato subacqueo romano in vacanza in Calabria, riemerse dallo specchio di mare antistante Riace per annunciare una scoperta sensazionale. Aveva rinvenuto, adagiate sul fondale, quelle che si sarebbero rivelate due statue in bronzo. Ma, ancora oggi, c’è molta incertezza su chi ne sia stato l’autore o se provengano dall’Attica o dal Peloponneso. Buio pesto, poi, su chi o cosa raffigurino i due bronzi: non si è mai andati oltre il distinguerli come Statua A, quella con l’aspetto giovanile, e statua B, ritenuta quella di un uomo più anziano.

Tante ipotesi sui Bronzi
Su tutti questi aspetti, la ridda di ipotesi è davvero interminabile. Alcune sono più accreditate, ma le altre non sono state mai del tutto accantonate. Si è arrivati persino a sostenere che le sculture fossero opera di un bronzista reggino, Pitagora di Reggio, attivo dal 490 al 440 a.C., apprezzato per la sua capacità di rappresentare dettagli anatomici con verosimiglianza. D’altra parte, per avere certezze a riguardo servirebbe una macchina del tempo che permetta un balzo indietro di oltre due millenni. In mancanza di quella, ci si deve affidare alle fonti storiche e alla loro esegesi, farsi guidare da autori come Erodoto, Tucidide e Diodoro Siculo.
Gli storici dell’epoca
I primi due vissero entrambi nel V secolo a.C. e quindi c’erano negli anni in cui, presumibilmente, furono creati i Bronzi di Riace. E c’erano sicuramente all’epoca dell’alleanza tra Sparta e Atene in cui infuriava la guerra tra greci e persiani.

C’erano Erodoto e Tucidide e raccontarono, da contemporanei, storie di guerre ed eroi, ma anche di trionfatori caduti nella polvere. Come Pausania, uno tra i più giovani generali spartani, nipote del leggendario Leonida. Tucidide ne parla nel suo La guerra del Peloponneso. Pausania fu l’artefice della vittoria dell’alleanza tra Sparta e Atene sui persiani a Platea, ma era un uomo dall’irrefrenabile ambizione. Questo infastidiva gli alleati attici, che non lo ritenevano stratega affidabile. E ne erano consapevoli anche gli spartani, che ritennero di non affidargli più alcun ruolo nella guerra.
Pausania, il generale che tradì Sparta
Pausania era partito alla volta di Cipro al comando di venti navi, affiancato dalla flotta degli alleati. E dopo aver conquistato l’isola, si era diretto alla volta di Bisanzio strappando anche quella al dominio persiano. Ma la sua tracotanza e prepotenza indussero gli alleati a chiedere il comando ateniese nelle operazioni di guerra. Anche per Sparta il modo di operare del loro stratega assomigliava davvero troppo a quello di un tiranno. Il tempo trascorso dal giovane generale nelle varie campagne contro i persiani gli aveva consentito di approfondire le proprie conoscenze presso quei popoli.
Nel Peloponneso c’era chi addirittura scorgeva negli atteggiamenti di Pausania un che di medismo. E, comunque, non era uomo che sarebbe rimasto fermo ad attendere una serena vecchiaia. Di propria iniziativa armò una nave per riprendere la lotta ai persiani, ma il suo fine si rivelò essere ben diverso: raggiungere accordi con i nemici e mettersi alla loro testa per marciare contro Sparta.
Un’intercettazione ambientale ante litteram
L’accusa mossa contro Pausania era pesantissima. Il suo destino era segnato, ma occorrevano prove davvero schiaccianti agli spartani per sostenere le accuse e giungere a una condanna. Quello che descrive Tucidide in merito alle indagini sembra essere il primo vero caso di quella che, ai giorni nostri, definiremmo un’intercettazione ambientale. Il giovane (ormai ex) generale spartano si rifugiò come supplice nel tempio di Atena “Calcieca” a Sparta e qui lo raggiunse un suo amico fidato.
La conversazione tra i due avvenne in una sorta di capanna fatta piazzare appositamente dagli efori per carpirne, non visti, i contenuti. Pausania parlò delle pesantissime accuse di tradimento e della fondatezza delle imputazioni a suo carico. Era dunque un reo confesso, ignaro che ad ascoltarlo fossero proprio gli efori spartani alla ricerca di prove. Non occorreva altro per arrivare a una sentenza di morte.
E l’oracolo disse: «Due bronzi per espiare il sacrilegio»
Siamo nel 470 a.C,. Pausania ha 40 anni, la sua condanna è morire di fame e di sete all’interno del tempio di Atena. I carcerieri murano gli ingressi e scoperchiano il tetto dell’edificio. Contano di accorgersi in tempo del sopraggiungere dell’ora fatale ed evitare così che il prigioniero spiri tra quelle sacre mura, ma non fanno in tempo. Pausania muore, ancora quarantenne, nell’edificio dedicato ad Atena Calcieca, violando la divinità del luogo. Si stabilisce di gettare nel fiume le spoglie dell’ex generale.

Ma – così racconta Tucidide – «il Dio, attraverso l’oracolo di Delfi, intimò agli Spartani di traslarne la salma nel punto stesso della morte (ancor oggi riposa infatti all’ingresso del santuario, come provano le iscrizioni di alcune stele). Ingiunse anche di espiare l’atto commesso, un sacrilegio grave, dedicando ad Atena Calcieca due corpi in cambio di uno solo. Furono così fatte erigere e consacrare alla dea due statue di bronzo, quasi a compenso di Pausania». Due statue in bronzo, dunque, erette per espiare un sacrilegio e per ripagare la divinità violata dalla morte di un uomo soltanto. Circa 2.500 anni dopo quei fatti due statue, finite lì a causa di un naufragio, affiorano dalle acque di Riace.
I nomi più ricorrenti
Chi raffiguravano dunque i due guerrieri in bronzo? I nomi più ricorrenti sono quelli di Eteocle e Polinice, fratelli, figli di Edipo, protagonisti della guerra contro Tebe, immortalati da una celebre tragedia di Eschilo. A seguire, nell’elenco dei probabili eroi raffigurati, vi sono Aiace e Oileo nonché Tideo e Anfiarao. Sull’identità dei Bronzi, ascrivibile a questi ultimi, il professor Paolo Moreno, docente di Archeologia e Storia greca all’Università La Sapienza si dice certo. Sostiene pure l’ipotesi che le due statue provenissero dalla città di Argo, nel Peloponneso.

Capolavori (e visitatori) a confronto
I Bronzi custoditi nel museo di Reggio Calabria sono meravigliosi e questo potrebbe e dovrebbe bastare per attirare visitatori da tutto il mondo. Statue come quelle rinvenute a Riace nel 1972 se ne contano non più di cinque in tutto il pianeta, ma nessuna che possa gareggiare in bellezza con loro. Eppure la loro attuale dimora non è sicuramente tra le più visitate, neppure a livello nazionale, nonostante i Bronzi siano in ottima compagnia di reperti dal valore inestimabile. Il costo del biglietto per ammirarli è davvero irrisorio: si va dai 2 agli 8 euro al massimo.

Una volta l’accesso al museo era totalmente gratuito, omaggio alla logica dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria, dove non si paga il pedaggio per incentivare i flussi turistici a venire al Sud. Detto ciò, si può fare un raffronto tra il museo calabrese e quello del Cenacolo Vinciano a Milano, celebre per la presenza di un affresco di Leonardo da Vinci raffigurante “l’Ultima Cena”. Lo spazio espositivo è ricavato in delle sale della basilica di Santa Maria delle Grazie. Per visitare l’opera occorre talvolta prenotare mesi prima, ci vogliono almeno 20 euro per un biglietto d’ingresso, mentre per un tour guidato ne occorrono quasi 45. L’accesso nella sala dove si trova l’affresco di Leonardo è fisicamente snervante: bisogna passare a piccoli gruppi attraverso camere stagne e comparti speciali dove si viene deumidificati. Ciononostante, il numero di visitatori è sempre in crescita e le attese, come detto, sono a volte lunghissime. Ma questa è un’altra storia.

Esistono altri cinque bronzi?
Dei Bronzi di Riace sappiamo tutto, tranne due cose: chi le ha create e chi rappresentassero. Abbastanza somiglianti tra loro la Statua A e quella B, quindi la tesi più accreditata circa la loro identità resta quella dei due fratelli Eteocle e Polinice. Ma perché solo due statue se i comandanti della spedizione contro Tebe erano sette? Da qualche parte, nelle profondità del mare, potrebbero dunque giacere altri cinque bronzi. Oppure soltanto Eteocle e Polinice hanno meritato il privilegio dell’immortalità bronzea per le loro gesta? Volendo tirare le somme, di elementi o, quantomeno di indizi, nel tentativo di dare una identità ai Bronzi di Riace, resterebbe l’episodio di Pausania raccontato dettagliatamente da Tucidide ne La Guerra del Peloponneso.
Ma più in generale è utile soffermarsi sulla parte introduttiva di quel libro. Lì lo storico descrive il modo di vivere, di organizzarsi socialmente e persino di vestirsi dei peloponnesiaci. Ed ecco alcuni brani di quel racconto: “Furono i primi gli Spartani ad adottare un sistema di vestire misurato e semplice, moderno… Gli Spartani furono anche i primi a spogliarsi e, mostrandosi nudi in pubblico, a spalmarsi con abbondanza d’olio in occasione degli esercizi ginnici”.
L’uomo che visse due volte
Allevato per essere un generale, imparentato con Leonida, il leggendario condottiero delle Termopili; Pausania fu colui che un anno dopo quella disfatta ricacciò dall’Egeo i persiani, indeboliti nella battaglia navale di Salamina condotta da Temistocle. Lo scontro finale fra le truppe del giovanissimo generale spartano e quelle del re Serse avvenne a Platea nel 479 a.C. Neppure dieci anni dopo i trionfi, il generale Pausania, come abbiamo letto, moriva di fame nel recinto sacro del tempio dedicato a Atena Calcieca. Era spirato là dove non avrebbe dovuto, dove simile sacrilegio non sarebbe stato tollerato dalle divinità.

Il morto aveva vissuto due volte: da eroe acclamato e da cospiratore, quindi da nemico. Non si potevano comunque trascurare i servigi che Pausania aveva reso alla patria infliggendogli dopo una fine terribile e miserevole riservata ai traditori. Due corpi da restituire alla dea anziché uno solo aveva dunque sentenziato l’oracolo per porre rimedio al sacrilegio commesso dagli spartani. Fusero il bronzo necessario e lo scultore modellò due corpi raffiguranti due guerrieri, nella medesima posa, ma con un atteggiamento diverso; più giovane uno, più in avanti con gli anni l’altro; olimpico l’uno; più terreno l’altro.
Come il tesoro di Tutankhamon
Potrebbe essere che le statue bronzee di cui Tucidide dà conto, raffigurassero una il giovane e brillante generale che gli spartani avevano conosciuto e l’altra l’uomo che questi era diventato. Chi fossero quelle due statue affiorate nel 1972 a Riace, da dove venissero, chi mai fosse stato l’abile scultore ad averle realizzate, così perfette ed emblematiche, son tutte cose racchiuse nel mistero di uno dei più grandi rinvenimenti della storia, quasi al pari della tomba di Tutankhamon in Egitto.
Il loro valore, soprattutto per la Calabria, è ingente quanto i tesori rinvenuti nel sepolcro del re egizio nell’ormai lontano 1922. Trascorso un altro mezzo secolo potrebbe scoccare l’ora di una nuova grande scoperta, ma c’è poco da sperarci. Forse sarà molto meglio riscoprire quanto di più prezioso si possiede e metterlo a frutto. La Calabria ha le due statue di bronzo più belle del mondo, ma siamo sicuri che davvero tutto il mondo ne sia a conoscenza?
Antonella Policastrese