Bonaventura Zumbini: l’autodidatta che conquistò Napoli

Coltissimo ma quasi senza titoli, il grande intellettuale cosentino si laureò tardi, ma conquistò l'ex capitale delle Due Sicilie: vinse la cattedra a tempi record e, subito dopo, diventò rettore. Inventò la letteratura comparata, gli esami delle scuole medie e fu tra i fondatori della prima biblioteca della sua città

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Oggi ci si ricorda di Bonaventura Zumbini con un timore un po’ prosaico: a lui è dedicata la piazza che collega il centro di Cosenza al Tribunale.
Una zona dov’è quasi impossibile parcheggiare e, al contrario, è facilissimo beccarsi una multa.
Zumbini, a cui è dedicata anche una scuola, è uno degli intellettuali più prestigiosi di Cosenza e del Sud a cavallo tra l’Unità d’Italia e la Prima guerra mondiale. Soprattutto, è un intellettuale che ha fatto carriera più per meriti culturali che politici.
Cosa non facilissima nella Calabria di tutti i tempi. Ma andiamo con ordine.

Bonaventura Zumbini: un figlio di papà con l’amore per i libri

La biografia di Bonaventura Zumbini non è troppo diversa da quella di altri notabili meridionali della sua epoca.
Nasce a Pietrafitta, un paesone alle porte di Cosenza, il 10 maggio 1836. È un figlio di papà di famiglia numerosa: è il primo dei sette figli di Tommaso, un facoltoso terriero, e di Maria Orlando. E, a quel che risulta, l’unico della nidiata col pallino dei libri.
Una passione che coltiva nella biblioteca di casa. Infatti, Zumbini non frequenta le scuole ma fa la classica trafila dei precettori domestici, tipica dei rampolli della società-bene. Infatti, il suo unico titolo di studio è la laurea, conseguita a trentadue anni a Napoli (1868).

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Bonaventura Zumbini

Il ragazzino e il professore

Nel 1848 Francesco de Sanctis, professore di letteratura alla Nunziatella di Napoli, è il classico intellettuale di belle speranze finito in bassa fortuna.
Infatti, proprio in quell’anno, l’intellettuale irpinate finisce nel mirino della polizia borbonica per la partecipazione ai moti liberali al seguito di un altro intellettuale “radical”, almeno secondo i criteri dell’epoca: Luigi Settembrini.
Quest’ultimo, avvocato mancato e letterato di grido, finisce in galera assieme ai patrioti antiborbonici. Invece de Sanctis ripara in Calabria, prima a San Marco Argentano e poi a Cervicati, dove fa il precettore a casa del barone Francesco Guzolini.
Proprio in questo periodo, conosce il giovane Bonaventura, che ha appena quattordici anni, e resta colpito dalla sua intelligenza precoce e dalla sua erudizione, a dispetto della mancanza di titoli.
È l’inizio di una lunga amicizia, testimoniata da un corposo epistolario.

Intermezzo: l’odissea di de Sanctis

A dispetto delle protezioni altolocate, de Sanctis finisce nelle maglie della polizia, che lo spedisce a Castel dell’Ovo, all’epoca temutissima galera borbonica, dove resta fino al 1853, quando re Ferdinando II lo espelle con una destinazione da cui non dovrebbe più nuocere alla monarchia delle Due Sicilie: gli Stati Uniti d’America.
Ma il destino – o, più prosaicamente, l’equipaggio della nave su cui è imbarcato – vuole altrimenti: complice una tappa a Malta, il campano se la batte e si rifugia a Torino, che per i patrioti e i liberali è un po’ come la Parigi tra le due guerre per gli antifascisti.
Lì si dedica alla grande alla politica e all’attività culturale, prima come mazziniano e poi come garibaldino. La conquista delle Due Sicilie apre a de Sanctis nuove prospettive: prima Garibaldi lo nomina governatore di Avellino. Subito dopo, diventa ministro della Pubblica istruzione del neonato Regno d’Italia.
A questo punto, torniamo a Zumbini.

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Francesco de Sanctis

Bonaventura Zumbini: prima prof poi preside

Mentre de Sanctis passa i suoi bravi guai e poi fa carriera, Zumbini fa l’intellettuale ricco, come dopo di lui avrebbe fatto Benedetto Croce. Studia e, soprattutto, scrive.
Pubblica un bel po’ di articoli per Il calabrese rigenerato, l’ambiziosa rivista culturale di un altro supernotabile: Alessandro Conflenti.
Al foglio, che vanta il primato di essere l’unico periodico non napoletano del Regno delle Due Sicilie, collaborano altri due pezzi grossi: il poeta acrese Vincenzo Julia e il nobile e intellettuale cosentino Mariano Campagna. E scusate se è poco.
Poi Zumbini decide di mettersi in proprio e fonda La Libertà, una testata dedicata anche alle analisi socio-politiche.
Negli anni travagliati dell’Unità, lo studioso cosentino entra nell’Accademia Cosentina, altro trampolino importante che, assieme all’amicizia di de Sanctis, si rivela fondamentale. Infatti, il neoministro nomina l’amico cosentino ispettore delle Scuole primarie del Regno.
Poi, a partire dal 1865, Zumbini diventa prof e direttore della Scuola normale maschile di Cosenza (per capirci, l’antenata dell’attuale Liceo Lucrezia della Valle). Infine, decide di andare a Napoli per conseguire la laurea in Lettere, che ottiene a tempi di record.

Autodidatti di successo

A questo punto, è necessaria una riflessione sull’autodidattismo di Zumbini. Possibile che una persona come lui, coltissima ma analfabeta per lo Stato, potesse fare una carriera così notevole?
All’epoca sì. E questo dettaglio deve far riflettere anche sul presunto analfabetismo del Sud nell’epoca preunitaria.
In realtà, nel Regno delle Due Sicilie non è carente l’istruzione in sé ma il sistema scolastico pubblico. Detto altrimenti: le scuole sono poche, rispetto alla popolazione, ma gli alfabetizzati sono comunque di più perché, chi può, anche i “piccoloborghesi”, va dal precettore.
Di questo aspetto curioso della società meridionale si è accorto a suo tempo lo storico Alessandro Barbero che nel suo Prigionieri dei Savoia analizza le corrispondenze dei militari borbonici e nota, anche con un po’ di meraviglia, che quello delle Due Sicilie non è in realtà un esercito di contadini analfabeti ma è pieno di artigiani, commercianti e piccoli professionisti, con un tasso di alfabetizzazione non proprio disprezzabile.
Ciò fa presumere, come ha notato anche lo studioso Lorenzo Terzi, che i dati sull’analfabetismo meridionale al momento dell’Unità potrebbero essere falsati, perché basati solo sull’istruzione pubblica, forte al Nord, ma carente in tutto il resto del Paese.
Come mai lo scarso interesse dei Borbone verso l’istruzione pubblica? La risposta è banale e poco retorica: l’allergia ai debiti e alle tasse della monarchia napoletana.

Ferdinando II di Borbone, re delle Due Sicilie

Borbone oscurantisti? No, tirchi

I Borbone, soprattutto Ferdinando II, basano molto del loro consenso sul fisco piuttosto mite. Quindi investono poco e si indebitano poco. Al momento dell’Unità, l’ex Regno delle Due Sicilie ha le casse solide, una riserva aurea apprezzabile e, soprattutto, titoli finanziari ben quotati (ad esempio, il Neapolitan Bond). Peccato solo che tutto questo non giovi molto alla popolazione, che produce a livelli di sussistenza senza una reale prospettiva di sviluppo.
Lo Zumbini intellettuale di carriera autodidatta non è, come sarebbe stato Croce, l’eccezione che conferma la regola. È la regola, in quel tipo di società.

Bonaventura Zumbini accademico in carriera

Subito dopo la laurea, Zumbini pubblica Le lezioni di letteratura del prof. Settembrini e la critica italiana, che lo fa notare positivamente, grazie anche a una recensione articolata dell’amico de Sanctis.
Come tutti i notabili, anche il Nostro si fa tentare dalla politica e si candida alla Camera in Calabria nel 1870 ma fa un passo indietro a favore di Luigi Miceli, ex garibaldino e astro nascente della politica calabrese.
Non demorde, invece, a livello intellettuale: nel 1874 diventa presidente dell’Accademia Cosentina, nel 1877 fa carriera all’Università di Napoli grazie all’interessamento del solito de Sanctis e di Bertrando Spaventa, fratello maggiore del ministro Silvio e zio di Benedetto Croce.
Anche in questo caso, la carriera è “lampo”: prima ottiene la libera docenza alla Scuola di Magistero (l’antenata dell’odierna Scienza della formazione), poi azzecca il concorso a professore ordinario, infine (1878), succede a de Sanctis nella cattedra di Letteratura. Non finisce qui: il cosentino, forte di appoggi ma capace anche di farsi benvolere, fa il colpaccio e, nel 1881, diventa rettore.

Castel dell’Ovo

Un cosentino giramondo

Ormai Zumbini è napoletano al cento per cento: si è stabilito a Portici ma non dimentica Cosenza, dove va di tanto in tanto.
Soprattutto, non dimentica l’Accademia Cosentina, dove fa conferenze e presso la quale promuove, in qualità di presidente, la creazione di una biblioteca. Detto altrimenti, è anche merito suo se è esistita la Civica.
Anche l’appuntamento con la politica, rimandato negli anni ’70 dell’Ottocento, riprende alla grande: fa parte di varie commissioni ministeriali (sua l’istituzione degli esami delle Scuole medie) e viene nominato senatore nel 1901.
Viaggia tanto, per approfondire lo studio delle letterature straniere, in particolare quelle tedesca e inglese. Al netto di ogni altra disquisizione estetico-letteraria, si può attribuire a Zumbini una specialità accademica: la letteratura comparata.
Muore a Portici il 21 marzo del 1816 alla ragguardevole età, per l’epoca, di ottant’anni. Uno di suoi ultimi pensieri è rivolto a Cosenza e alla sua Accademia, a cui regala la propria biblioteca. Che purtroppo, finisce in cenere durante i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale.
Restano di lui un busto marmoreo realizzato dallo scultore Mario Rutelli, esposto ancora nei locali dell’Accademia Cosentina, più varie dediche toponomastiche. A Cosenza, di cui si è già detto, e a Pietrafitta.
Il minimo, per un intellettuale illustre, esponente di una élite di livello europeo. Forse l’ultima che abbia avuto Cosenza.

Questo articolo fa parte di un progetto socio-culturale finanziato dalla “Fondazione Attilio e Elena Giuliani ETS”. L’impegno de I Calabresi e della Fondazione Attilio ed Elena Giuliani è quello di arare il terreno della memoria collettiva e trovare le radici da cui proveniamo per riscoprire la fierezza di una appartenenza.

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