Per noi giovani cosentini Umberto Casaula era un mito. Alcune sue partite nei campionati italiani, europei e mondiali rimangono impresse nella storia del biliardo. Nel 1985 diventa campione italiano nella specialità 5 birilli. Ha vinto numerosi tornei e si è battuto con campioni del calibro di Lotti, Ferro, Cifalà, Gomez, Zito, Martinelli, Belluta, Mannone e altri. Memorabile la partita del 1993 quando ad Avellino nella prima prova del mondiale vinse per 4 a 1 il grande Carlo Cifalà. Quando ancora non era entrato nel mondo dei professionisti con gli amici stavamo ore ad ammirarlo e ci colpiva soprattutto la sua umanità, cordialità ed eleganza dei suoi tiri.
Umberto Casaula sfida e vince Carlo Cifalà nel mondiale del 1993
Bazzica, italiana e goriziana
È difficile ricostruire il clima di quegli anni ma quel gioco è rimasto sempre vivo nel mio cuore da spingermi a scrivere ormai vecchio una storia del biliardo pubblicata circa un mese fa dall’editore Rubbettino. Con gli amici il giorno giocavamo a calcio e la sera a bazzica, italiana e goriziana. Quel passatempo fatto di traiettorie, angoli e scontri era stregato, il roteare sul panno verde delle palle che andavano zigzagando tra una sponda e l’altra fino ad abbattere i birilli o finire in buca mi affascinava.
Tiri eseguiti in posizioni difficili con effetti e complicate geometrie apparivano magie e il «bigliardista» un prestigiatore che non poteva nascondere la propria arte. Erano il braccio e la volontà dello sportivo a stabilire il cammino delle biglie, ma a volte avevo la sensazione che queste, come spinte da una forza nascosta, andavano oltre la volontà di chi le colpiva. Quelle sfere colorate tonde, lisce e pesanti che si urtavano creando un suono inconfondibile sembravano fatate e forze esterne influenzavano il loro apparente viaggiare logico-razionale.
Biliardo a credito
Eravamo appassionati del biliardo ma a volte facevamo fatica a raggranellare i soldi sufficienti per pagare il tavolo e il proprietario segnava i debiti su un quaderno nero. Per alcuni il biliardo era una vera malattia, c’era gente che giocava sino a tarda notte e, anche se la saracinesca del locale era abbassata, dentro si gareggiava fino al mattino. Ricordo che a volte arrivavano madri e padri arrabbiati perché i figli avevano marinato la scuola o non volevano che frequentassero la sala da gioco. Anche i miei genitori non erano contenti che andassi nella sala del bigliardo: dicevano che non studiavo e che quel luogo era frequentato da gente poco raccomandabile.
In effetti ho visto tanti giovani lusingati da gente senza scrupoli di essere forti giocatori, dopo aver vinto qualche partita, finire per essere spennati. Ho assistito anche a violente risse durante sfide di bazzica per presunti imbrogli, sedate grazie all’intervento deciso del proprietario o della polizia. A bazzica si gareggiava con due palle e pallino, ciascun contendente riceveva una carta con un numero segreto la cui somma con i punti fatti con i birilli doveva raggiungere 31 e non oltrepassarla altrimenti «si sballava».
Soprattutto nelle giornate fredde e di pioggia il biliardo era affollato di gente e i giocatori più bravi erano conosciuti con soprannomi bizzarri o legati alla loro professione. La sala era immersa nel fumo di sigarette, sigari e pipe che formava una nebbia bassa evidenziata dalle lampade che illuminavano i tavoli. Nel grande locale non si poteva parlare ad alta voce e nelle lunghe serate si sentiva solo un leggero brusio, il rumore secco delle biglie e qualche sonora bestemmia.
Uomini eleganti e stecche intarsiate
In occasione di incontri tra professionisti del biliardo di altre città e i nostri campioni, con in palio consistenti somme di denaro, c’era grande attesa. Fuoriclasse che conoscevamo di fama arrivavano con le loro custodie di legno da cui estraevano bellissime stecche intarsiate che sembravano fucili di precisione. Con quelle aste in mano sembravano fucilieri: avevano un’arma, erano esperti di balistica, tiravano con decisione e avevano una buona mira. Battendo la palla tenevano ferma la stecca, l’afferravano per bene dalla culatta, la ingessavano alla punta per evitare tiri a vuoto e, inchinandosi, davano un colpo alla biglia realizzando giocate magistrali.
Prima di giocare stabilivano le regole per le scommesse, indossavano un grembiule per non sporcarsi e provavano con attenzione l’elasticità delle sponde. Durante le partite nella sala c’era un silenzio tombale interrotto solo dal rumore secco delle palle e dalla voce del bigliardiere che scandiva i punti ad alta voce dopo averli segnati nella rastrelliera. Ricordo che guardavamo incantati quegli uomini vestiti elegantemente che, dopo aver accuratamente ingessato la stecca e messo il talco sulle mani riuscivano a fare colpi inimmaginabili. Avevano giochi diversi: c’era chi cercava di fare punti a ogni tiro e chi invece si preoccupava della «rimanenza»; chi tirava d’istinto dopo una veloce occhiata al tavolo e alle palle e chi invece meditava sul tiro spostandosi lentamente da una parte all’altra del tavolo.
I consigli del campione
Guardandoli duellare mi rendevo conto che il biliardo era anche una prova di nervi. I contendenti cercavano di non esaltare le caratteristiche dell’avversario, lo costringevano a un gioco a lui non gradito, lo mettevano nella condizione di non poter mostrare ciò che sapeva fare, studiavano i modi per innervosirlo ed erano attenti a non perdere la calma nei momenti difficili aspettando il tempo opportuno per contrattaccare. Ricordo che un campione pugliese, venuto a Cosenza per sfidare Casaula, al temine di un vittorioso incontro, si fermò a parlare con noi e ci disse che giocando a biliardo bisognava non sottovalutare o sopravvalutare l’avversario e avere una grande tenacia perché, pur possedendo esperienza, visione di gioco e abilità nei tiri, senza volontà e concentrazione si andava inesorabilmente verso la sconfitta.
Gli imprevisti sul panno verde
In effetti accadeva che grandi fuoriclasse perdessero incontri con avversari più deboli a causa dello stato d’animo. Anche il risultato delle sfide tra campioni era imprevedibile: uno poteva perdere tutte le partite di un incontro e nel successivo vincerle. Non c’è sicurezza di vittoria al biliardo, sul tavolo non sempre accade ciò che si vuole, i tiri sono sempre gli stessi ma le biglie prendono direzioni diverse.
Il più abile giocatore non ha il totale controllo di ciò che accade sul panno verde; pur conoscendo a memoria ogni colpo c’è qualcosa di imprevedibile che può far mutare la direzione delle palle: la rispondenza delle sponde, la pendenza di una parte del tavolo, lo sporco sulle sfere, pezzetti di gesso sul tappeto e altro. Spesso succede che un tiro è effettuato alla perfezione ma la palla che passa nel castello muove i birilli senza farli cadere o si ferma misteriosamente ai margini della buca.
La solitudine del giocatore di biliardo
I professionisti del biliardo non hanno tentennamenti su come eseguire un raddrizzo, un rinterzo, un rinquarto o un cinque sponde perché li hanno memorizzati, ma gli esiti di un tiro non sono mai scontati. Capitano giornate in cui ci si sente invincibili perché la palla centra sempre quello che si vuole, ma in alcune partite tutto va storto e non ci sono compagni da rimproverare o a cui chiedere consigli perché ognuno gareggia da solo. È necessario non lasciarsi andare quando i colpi non riescono nel modo desiderato e l’incontro prende una piega sfavorevole; bisogna dominare le passioni perché un fuoco tempestoso può indurre a scelte azzardate e sconsigliabili.
Scena finale del film “Il colore dei soldi”, diretto da Martin Scorsese